Cinema futuro (493): “Amore che vieni, amore che vai” 13/11/2008
Posted by Antonio Genna in Cinema e TV, Cinema futuro, Video e trailer.trackback

“Amore che vieni, amore che vai”
Uscita in Italia: 14 novembre 2008
Distribuzione: Istituto Luce
Titolo originale: “Amore che vieni, amore che vai”
Genere: drammatico
Regia: Daniele Costantini
Sceneggiatura: Franco Ferrini, Antonio Leotti e Daniele Costantini (soggetto di Franco Ferrini, liberamente tratto dal romanzo “Un destino ridicolo” di Fabrizio de André e Alessandro Gennari)
Musiche: Nicola Piovani
Sito web ufficiale (Italia): nessuno
Cast: Fausto Paravidino, Filippo Nigro, Massimo Popolizio, Donatella Finocchiaro, Tosca d’Aquino, Claudia Zanella, Giorgia Ferrero, Davide Paganini, Agostina Belli
La trama in breve…
Lo sfondo e il contesto, sono il porto, i vicoli, le strade ed alcuni locali notturni della Genova del 1963. Tre uomini. Un contrabbandiere di origine francese, Bernard, passato dalla resistenza alla malavita marsigliese. Uomo di mondo, disincantato, vive organizzando soltanto “colpi grossi”. Un giovanissimo “pappone per caso”, Carlo, sognatore e indolente, tanto indolente da portarsi dietro sua madre, la signora Lina, nel serale giro di controllo delle prostitute, delle “ciccine”. Un duro pastore sardo, Salvatore, membro dell’anonima sequestri, rifugiatosi a Genova per rifarsi una vita, dopo cinque anni di dura detenzione.
Bernard coinvolge Carlo e Salvatore in un “colpo grosso”, tanto grosso da poter cambiare la loro vita per sempre.
La loro strada è attraversata da due donne: Veretta, una timida prostituta che vuole cambiare, che vuole dare una svolta alla propria vita, e per questo si unisce a Salvatore, prima suo occasionale cliente e poi suo marito; e Maritza, una giovane fiorentina, tanto affascinante quanto sfuggente, che farà perdere la testa a Carlo, ed a molti altri uomini.
Il colpo va bene e male nel contempo. Bene perché i tre uomini riescono a impossessarsi di un prezioso carico di merce. Male perché Salvatore, simulando perfettamente la propria morte grazie all’uccisione di suo fratello gemello, riesce a ingannare i suoi compagni, si appropria della merce e fugge in Sardegna con Veretta. Distrutto dalla perdita del figlio avuto da Veretta e tormentato dai sensi di colpa per aver ucciso suo fratello gemello, Salvatore si convince che il denaro ricavato dal colpo sia denaro maledetto. Tenta di salvarsi l’anima confessandosi e consegnando la refurtiva ad un prete, incontrato casualmente su un treno. Ma il destino ha deciso di giocargli un brutto scherzo…
Note di regia
di Daniele Costantini
Di Fabrizio De Andrè, oltre alle straordinarie qualità poetiche e musicali, ho sempre ammirato la grande libertà creativa, l’apertura mentale e culturale, che lo hanno portato, nel tempo, a rischiare, a mettere in discussione il proprio lavoro, collaborando con musicisti e autori tutti di grande personalità, di grande prestigio: Gian Piero Reverberi, Nicola Piovani, Francesco De Gregori, la PFM, Mauro Pagani, Ivano Fossati…
Lo stesso senso del rischio, lo stesso sentimento di libertà, lo hanno spinto, nella prima metà degli anni ‘90, a scrivere un romanzo – “Un destino ridicolo” – assieme allo psicanalista-scrittore Alessandro Gennari.
Nonostante la personalità e il talento di Gennari, “Un destino ridicolo” sembra appartenere soprattutto a De Andrè, tanto è denso di rimandi al suo mondo poetico-musicale, in particolare a quello degli anni ‘60. Ecco, quindi, che non si è trattato soltanto di adattare un romanzo, ma anche di abbandonarsi alle suggestioni poetiche di alcune canzoni memorabili come “Bocca di Rosa”, “Via del Campo”, “La città vecchia”, “Amore che vieni amore che vai”.
In una nota di lavoro, De Andrè ha definito il romanzo come “una favola, di quelle che raccontano i nonni”. Il film vuole essere una favola: una favola di amore e di malavita, ambientata nei vicoli, nei “carruggi”, della Genova del 1963.
Alla fine del capitolo nono del romanzo, un capitolo in cui i due autori commentano la storia che stanno raccontando, De Andrè dice a Gennari:“Sai, passando di mano i racconti si confondono, ognuno ci mette del suo, così diventa difficile ricostruire una vicenda, specialmente dopo trent’anni…”
Ecco, nel film, ho cercato di raccontare la storia di “Un destino ridicolo” come se qualcuno avesse raccontato quella storia a qualcun altro, e questo qualcun altro l’avesse raccontata a me, agli sceneggiatori, agli attori. Come una favola, appunto. Il romanzo è scritto con leggerezza ma anche con grande partecipazione emotiva. La stessa leggerezza e la stessa partecipazione emotiva, mi piacerebbe fossero ritrovate nel film. Con l’aiuto degli attori e di Nicola Piovani, ho tentato di rimanere, nel contempo, vicino e lontano ai personaggi e alle loro vicende. Senza giudicarli. Giocando con loro, ma anche piangendoli. Come, del resto, fanno De Andrè e Gennari nel romanzo.
Trailer italiano:
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