Cinema futuro (639): “State of Play” 28/04/2009
Posted by Antonio Genna in Cinema e TV, Cinema futuro, Video e trailer.trackback
“State of Play”
Uscita in Italia: giovedì 30 aprile 2009
Distribuzione: Universal Pictures Italy
Titolo originale: “State of Play”
Genere: thriller / drammatico
Regia: Kevin Macdonald
Sceneggiatura: Matthew Michael Carnahan, Tony Gilroy e Billy Ray (basato sulla serie TV inglese di Paul Abbott)
Musiche: Alex Heffes
Uscita negli Stati Uniti: 17 aprile 2009
Sito web ufficiale (USA): cliccate qui
Sito web ufficiale (Italia): cliccate qui
Cast: Russell Crowe, Ben Affleck, Rachel McAdams, Robin Wright Penn, Jason Bateman, Helen Mirren, Jeff Daniels, Harry Lennix, Maria Thayer
La trama in breve…
State of Play, diretto dal talentuoso Kevin MacDonald (Un giorno a settembre, L’ultimo re di Scozia), è un thriller ‘al veleno’, che racconta le vicende di Stephen Collins (Ben Affleck), astro nascente della politica, e di Cal McAffrey (Russell Crowe), navigato giornalista, alle prese con una serie di omicidi apparentemente non collegati fra loro.
McAffrey, reporter del Washington Globe diretto da Cameron Lynne (Helen Mirren), con l’aiuto della giovane giornalista blogger Della Frye (Rachel McAdams) proverà a dipanare un fitto mistero, che vede coinvolte le figure politiche e imprenditoriali più illustri dell’intera nazione.
Il film riflette non solo sui rapporti tra giornalismo e potere, ma anche su quelli tra vecchi e nuovi media. Nella partita a scacchi messa in scena, due importanti schieramenti si danno battaglia a colpi di intrighi e oscure manovre: da un lato i politici, che vorrebbero mantenere la propria influenza ad ogni costo, dall’altro i giornalisti, il cui principale obiettivo è quello di svelare storie di corruzione connesse a un potere incontrollato.
Il film brilla anche per il resto del cast formato da una squadra di grandi talenti: Robin Wright Penn (Beowulf; New York, I Love You) nel ruolo della moglie del politico; Jason Bateman (Hancock, The Kingdom) nei panni del manipolatore ‘PR’ Dominic Foy; Jeff Daniels (Good Night, and Good Luck, Sguardo nel vuoto) in quelli di George Fergus, un potente senatore che rischia la reputazione del suo partito.
“I bravi giornalisti non hanno amici, ma solo fonti”
-Cameron Lynne, direttrice di The Washington Globe
Nella partita a scacchi giocata dai maggiori esponenti di Beltway, due importanti schieramenti si danno battaglia a colpi di intrighi e oscure manovre: da un lato i politici, che vorrebbero mantenere la propria influenza ad ogni costo, dall’altro i giornalisti, il cui principale obiettivo è quello di svelare storie di corruzione connesse a un potere incontrollato. Gli avversari sono legati fra loro solo dal bisogno che tutti hanno dell’altro. E l’omicidio – fisico o metaforico che sia – è a volte l’unico modo per porre fine a un gioco troppo grande e pericoloso.
L’attore premio Oscar ® RUSSELL CROWE (Il Gladiatore, American Gangster) è il protagonista di STATE OF PLAY, diretto da KEVIN MACDONALD (Un giorno a settembre, L’ultimo re di Scozia), un thriller ‘al veleno’, che racconta le vicende di un astro nascente della politica e di un giornalista alle prese con una serie di omicidi apparentemente non collegati fra loro. Crowe interpreta Cal McAffrey, un veterano reporter di Washington dotato di un’incrollabile determinazione ed energia, che riesce a dipanare un fitto mistero che vede coinvolte le figure politiche e imprenditoriali più illustri dell’intera nazione. L’ambizioso e imperturbabile deputato statunitense Stephen Collins (l’attore premio Oscar® BEN AFFLECK, Hollywoodland, Gone Baby Gone) rappresenta il futuro del suo partito politico e presiede un comitato che supervisiona le spese per la difesa nazionale. Grandi speranze ed aspettative sono riposte in un uomo che diventerà una figura di spicco nella storia politica americana, fino al giorno in cui la sua bella assistente muore tragicamente e segreti, a lungo occultati, iniziano improvvisamente ad affiorare.
McAffrey ha la dubbia fortuna di essere un amico di lunga data sia di Collins che della determinata direttrice della testata Cameron Lynne (l’attrice premio Oscar® HELEN MIRREN, The Queen, Gosford Park), che gli ha commissionato un servizio su questa storia. Mentre lui e la collega apprendista al suo fianco, di nome Della Frye (RACHEL MCADAMS, Le pagine della nostra vita, Red Eye) indagano sull’identità del killer, McAffrey scopre uno scandalo che minaccia di scuotere le maggiori e più potenti istituzioni dell’intero paese. In una città di faccendieri e di ricchi politicanti, McAffrey scoprirà una verità fondamentale: quando ci sono miliardi di dollari in gioco, non si salva l’integrità di nessuno.
Il resto del cast è formato da una squadra di grandi talenti che comprende: ROBIN WRIGHT PENN (Beowulf; New York, I Love You) nel ruolo della fedele moglie di Stephen Collins, Anne; JASON BATEMAN (Hancock, The Kingdom) nel ruolo del manipolatore ‘PR’ Dominic Foy; JEFF DANIELS (Good Night, and Good Luck, Sguardo nel vuoto) come George Fergus, un potente senatore che rischia la reputazione del suo partito.
Affiancano il regista dietro le quinte i produttori ANDREW HAUPTMAN (Millions, Leoni per agnelli) e ERIC FELLNER & TIM BEVAN della Working Title (The Interpreter, Burn After Reading – a prova di spia).
La troupe comprende il direttore della fotografia RODRIGO PRIETO (I segreti di Brokeback Mountain, Babel), lo scenografo MARK FRIEDBERG (Across the Universe, Lontano dal Paradiso), la montatrice JUSTINE WRIGHT (L’ultimo re di Scozia, La morte sospesa- Touching the Void), il compositore ALEX HEFFES (L’ultimo re di Scozia, Imagine Me & You) e la costumista JACQUELINE WEST (Lo strano caso di Benjamin Button, The New World).
STATE OF PLAY è basato sulla serie televisiva della BBC, creata da PAUL ABBOTT (The Girl in the Café) ed è tratto dalla sceneggiatura di MATTHEW MICHAEL CARNAHAN (The Kingdom, Leoni per agnelli), TONY GILROY (Duplicity, Michael Clayton) e di BILLY RAY (Breach – l’infiltrato, Flightplan-mistero in volo).
I produttori esecutivi del film sono Paul Abbott, LIZA CHASIN (The Boat That Rocked, Espiazione), DEBRA HAYWARD (United 93, Orgoglio e pregiudizio) e E. BENNETT WALSH (Disturbia, i due film di Kill Bill).
LA PRODUZIONE
Dall’adattamento all’azione: l’inizio di State of Play
“Nulla può essere ricollegato a me”
-Stephen Collins, membro del Congresso americano
Dalla fase di acquisto alla selezione di cast, la strada per realizzare STATE OF PLAY è stata lunga e tortuosa quasi quanto la storia che il film stesso racconta. Tutto ha inizio con il bellissimo materiale prodotto dalla penna di Paul Abbott, il creatore della nota e acclamata serie del 2003, in onda su BBC. La determinazione del produttore Andrew Hauptman-affiancato ai colleghi Tim Bevan ed Eric Fellner della Working Titles- ha reso possibile che l’adattamento arrivasse sul grande schermo.
La BBC ha trasmesso la prima puntata di State of Play nel maggio del 2003. Pubblico e critica sono stati immediatamente rapiti e conquistati dall’intreccio delle vicende di Stephen Collins, Cal McAffrey e dei loro colleghi politici e giornalisti. Poco dopo l’esordio televisivo della serie, Hauptman ha avviato una trattativa con agenti londinesi, per la cessione dei diritti del lavoro di Abbott al fine di realizzare una trasposizione cinematografica.
La sua tenacia lo ha infine condotto a un meeting con lo stesso Abbott nella sua casa di Manchester. Lì Hauptman è riuscito a convincere lo scrittore di essere l’uomo giusto per produrre un film basato sul suo lavoro, un film che sarebbe rimasto fedele allo spirito della produzione originale. Hauptman ha concluso l’accordo per adattare STATE OF PLAY nel novembre 2004 e ha quindi dato il via al lungo processo di collaborazione fra gli scrittori per plasmare la complessa miniserie di sei ore scritta da Abbott, in un film a soggetto che sposta l’azione nel fulcro del potere americano: Washington, D.C.
Hauptman riflette sul suo interesse in questo progetto, che ha avuto una lunga gestazione: “La serie originale è stata molto preziosa come materiale a cui attingere. Era una serie avvincente che catturava lo spettatore; mi è rimasta dentro per tanto tempo. Ho sempre pensato che spostando l’azione a Washington D.C., la storia avrebbe avuto ancora più respiro, avrebbe acquistato più forza e sviluppato le sue potenzialità, conservando tutta la sua intelligenza.
“La vicenda è stata arricchita dalla possibilità di entrare nel mondo di una redazione televisiva e di percepire le difficoltà di fare un giornale, di cercare una storia e la sua verità, con tutte le sue implicazioni”, continua. “La miniserie funzionava bene perché raccontava del sottile equilibrio fra politica e giornalismo, delle dinamiche dei media televisivi, di spionaggio aziendale e di cospirazioni. Ma allo stesso tempo ci si rende conto che è una storia che parla anche di individui, di scelte e di motivazioni profondamente personali. Una storia sui conflitti, sui compromessi, sulla lealtà, sull’amore, sul potere e sulle aspirazioni professionali. Un intreccio fantastico”.
Abbott ovviamente non voleva che la sua serie costruita ad arte, andasse a finire nelle mani sbagliate per quanto riguarda la trasposizione. “Nelle mie iniziali conversazioni con Paul, mi sono reso conto che era preoccupato di come avremmo trasformato il suo dramma in sei ore in un film a soggetto”, continua Hauptman. “Tutti e due volevamo fare un film che fosse degno della serie e che ne preservasse la qualità”.
Hauptman ha trascorso gli anni successivi a sviluppare il progetto, quindi lo ha presentato alla Universal Pictures, che si è avvalsa della collaborazione della Working Title Films, la società di Tim Bevan ed Eric Fellner, nota per aver prodotto alcuni dei film di maggior successo in Inghilterra. Afferma Fellner rispetto al desiderio da parte della Working Title, di far parte del progetto: “Anche noi, come tutti gli altri, siamo rimasti folgorati dalla miniserie di diversi anni fa. Paul metteva in mostra il lato più oscuro dell’essere umano, i suoi lati peggiori di avidità, corruzione e inesorabile ambizione. Tim ed io sapevamo che sarebbe stato complesso distillare tanto materiale valido e ideare una storia altrettanto accattivante… una storia forte e a se stante. Con Andrew e Kevin al nostro fianco e la giusta squadra di scrittori, abbiamo pensato di poter rendere giustizia alla serie”.
Tovare il giusto regista per il progetto è stato un processo altrettanto elaborato. I produttori hanno compiuto una scelta piuttosto singolare quando hanno scelto un documentarista scozzese vincitore di un Oscar® (e di due premi BAFTA), che non era ancora molto noto nel mondo del cinema, fino a quando il suo esplosivo primo film a soggetto L’ultimo re di Scozia, non ha trascinato pubblico e critica. Con un film che ha meritato a Forest Whitaker l’Oscar come Migliore Attore, Macdonald in precedenza è stato un’istituzione nella comunità giornalistica per il suo importante lavoro d’analisi – premiato con l’Oscar – dei tragici omicidi degli atleti delle Olimpiadi di Monaco di Baviera di One Day in September (Un giorno a settembre). La sua specialità è quella di mostrare il lato più nascosto di uomini che sono diventate icone – sia che si tratti di leggende del rock o del cinema come Mick Jagger e Howard Hawks, o di efferati assassini quali Idi Amin e Klaus Barbie.
Ricorda Hauptman rispetto alla sua decisione: “Abbiamo cercato in tutto il mondo la persona giusta e siamo stati molto fortunati a incontrare Kevin, un ragazzo molto integro. Aveva visto la serie ed era stato molto toccato dai suoi temi. Dal punto di vista di un esperto di documentari, si tratta di temi molto attuali, molto interessanti da esplorare”.
“Quando ho visto State of Play in TV, mi è piaciuto moltissimo”, osserva Macdonald. “E’ piaciuto a tutti in Inghilterra e ha vinto ogni possibile premio televisivo. Cinque anni dopo, ho ricevuto un copione. Ero incuriosito ma anche piuttosto sospettoso, inizialmente, perché la serie mi era piaciuta molto e non volevo che un film potesse in qualche modo rovinarla, soprattutto condensando eccessivamente gli eventi che in TV si sviluppano nell’arco di sei ore”.
Macdonald non aveva interesse nel girare di nuovo il lavoro dei creatori della miniserie e spiega “Nonostante la storia sia fondamentalmente la stessa, l’abbiamo resa molto diversamente. L’abbiamo re-inventata, era l’unico modo per rendere giustizia ad una fonte tanto perfetta”.
Il cineasta era incuriosito in particolare dal modo in cui il copione di State of Play osserva il declino del giornalismo della carta stampata e la fine dei quotidiani in alcuni mercati. Considera Cal McAffrey una specie di sopravvissuto in una generazione quasi scomparsa: un giornalista tradizionale che scandaglia fino a quando non si ritiene soddisfatto, un giornalista che ‘lima’ la sua storia la notte prima che vada in stampa. Il capo di McAffrey accetta la sfida di pubblicare lo scandalo o di rovinarsi e Della Frye proviene da una nuova scuola di giornalisti che ha familiarità con il multi-tasking e l’accesso istantaneo all’informazione. Nel suo mondo il blogger che per primo pubblica un’informazione, è spesso l’esperto in materia (e quindi la fonte più citata).
Prima che il film iniziasse, State of Play è rimasto in una fase di stallo dovuta allo sciopero degli scrittori del Writers Guild of America, iniziato alla fine del 2007 e terminato all’inizio del 2008. A causa del forte ritardo che ha colpito la produzione, i due protagonisti originali del film hanno abbandonato il campo. Tuttavia i produttori erano convinti del loro copione e hanno deciso di andare avanti. Hanno presentato il progetto a due attori premi Oscar® che hanno prontamente infuso nuova vita al progetto.
Giornalisti e Politici: la scelta del cast
“Abbiamo per caso appena infranto la legge?”
-la blogger del Globe Della Frye
“No, questo è ciò che si chiama buon giornalismo!”
-Capo redattore della cronaca del Globe Cal McAffrey
Per il ruolo del redattore veterano di The Washington Globe Cal McAffrey, i filmmakers cercavano un attore capace di esprimere il coraggio e l’astuzia di un consumato mestierante, ma anche un burbero veterano aggrappato alla tradizione di un giornalismo che sta cambiando troppo velocemente. Macdonald parla di questo personaggio incaricato di dire la verità, per quanto scomoda: “Cal è il reporter più anziano e autorevole del giornale- un uomo molto intelligente che merita senza dubbio una posizione di maggiore rilievo. Dovrebbe lavorare in politica, ma qualcosa – nella vita – lo ha trattenuto. Rappresenta la nobiltà del giornalismo, ma anche il suo declino”.
Durante la selezione degli attori, lo studio ha avuto un colpo di fortuna. Macdonald racconta: “I dirigenti mi hanno chiesto: ‘Chi vuoi?’ e io ho risposto: ‘Voglio il migliore: Russell Crowe’. E loro mi hanno detto: ‘Okay, vediamo’. Così abbiamo mandato il copione a Russell. Tre giorni dopo ero su un aereo diretto in Australia. Ventiquattro ore dopo lui aveva accettato e due settimane dopo era sul set. Russell è entrato, ha letteralmente preso il suo personaggio per la collottola e ha capito perfettamente come doveva impersonare Cal”.
Hauptman era molto contento della scelta di Crowe nel ruolo di questo osso duro del giornalismo che ha una relazione con la moglie del suo migliore amico. “Russell è entrato totalmente in questo ruolo”, spiega il produttore. “Cal ha opinioni molto forti rispetto a ciò che il giornalismo è diventato oggi e un ricordo un po’ idealizzato di come era un tempo”.
Crowe considera il suo personaggio piuttosto atipico e quindi innovativo dal punto di vista cinematografico. “La storia analizza l’ambiguità dell’idea di una stampa obiettiva”, afferma l’attore. “I giornalisti dicono di essere obiettivi e che i loro rapporti e la loro vita non influenzano ciò che scrivono. Ma in questo caso non è vero. E’ proprio questo l’aspetto che più mi ha interessato: la loro umanità, nel bene e nel male. In realtà prendono le cose personalmente e non possono non lasciarsi coinvolgere dalle storie che raccontano – con tutto ciò che ne consegue, di negativo e di positivo”.
L’attore era interessato al modo in cui il suo personaggio non può essere obiettivo al 100%, poiché indaga in un caso di omicidio in cui è implicato un suo caro amico. “Cal è un essere umano le cui convizioni lo spingono all’azione”, dice Crowe. “Ma non è eroismo; lui fa semplicemente ciò che sente di fare per conto del suo amico. Quindi fin dall’inizio dela storia, il suo punto di vista è inquinato”.
La lunga relazione di McAffrey sia con Stephen Collins che con la moglie di Collins, Anne, lo porta a voler raccontare la storia dal loro punto di vista. Fin dall’inizio perde di vista quell’obiettività che viene insegnata a tutti i redattori fin dal primo giorno di scuola di giornalismo. Osserva Macdonald: “Il senso di colpa che Cal nutre nei confronti dell’amico è uno dei fattori che lo motiva a voler dimostrare l’innocenza di quest’ultimo. Alla fine però il suo cinismo riemerge e torna a farsi dominare dai suoi radicati istinti professionali”.
Per il ruolo di Stephen Collins, la squadra vedeva benissimo Ben Affleck nel ruolo di questo deputato alle prese con l’omicidio della sua assistente-amante Sonia Baker. Allo stesso tempo Collins deve affrontare il naufragio del suo matrimonio e una possibile frenata della sua ascesa verso il potere. Spiega il regista a proposito di Collins: “Stephen è il presidente di un comitato molto prestigioso che si occupa di indagare sui possibili abusi del Dipartimento della Difesa. E’ un uomo estremamente ambizioso, ha la stoffa di un futuro presidente, di un nuovo Kennedy. Ben Affleck aveva la giusta fisicità, la giusta tranquillità e un forte interesse nella politica, che lo hanno reso perfetto per la parte”.
Affleck, che si è unito alla produzione subito dopo aver terminato il suo primo lavoro di regia dal titolo Gone Baby Gone, si è fidato dell’istinto del regista Macdonald. L’attore interpreta Collins come un uomo che sta letteralmente ‘implodendo’ a causa delle conseguenze delle sue decisioni. “La sua ambiguità morale è molto interessante”, riflette Affleck. “Ecco un uomo giovane, piendo di talento e con un grande futuro davanti a sé, che manda tutto all’aria a causa di una relazione clandestina con una donna che viene assassinata. Questo evento coincide con la fine del suo matrimonio e con il crollo di un codice militare da lui stesso abbracciato sotto le armi. Credo che Stephen tutto sommato sia in buona fede, ma che la situazione gli sfugga gradualmente di mano”.
L’amicizia del suo personaggio con Collins genera conflitti che Crowe considera molto interessanti da esplorare – specialmente il modo in cui i media sono disposti a lasciarsi manipolare. Dice l’attore: “Stephen Collins è come un abile giocatore di scacchi che usa tutti i suoi trucchi per ottenere un vantaggio. Vive in un mondo in cui i temi da trattare sono sempre legati ad amici cui restituire dei favori. Lo stesso vale per il mondo della stampa che, nella frenesia di battere la competizione, cerca con tutti i mezzi di scovare fonti segrete che in realtà si lasciano svelare per un proprio interesse personale”.
La giovane reporter che affianca il navigato McAffrey, la blogger del Washington Globe Della Frye, è la prima a scoprire un legame fra queste morti apparentemente non collegate fra loro. Nonostante la ragazza possa avere, a detta di Macdonald, “opinioni semplicistiche e spesso non basate sui fatti”, la familiarità di Frye con il mondo tecnologico la rende, almeno all’inizio, la collega meno consona a lavorare con McAffrey. Ma alla fine i due imparano a complementarsi per arrivare al nocciolo del problema. “Rachel è fantastica nell’apparire inizialmente un’ingenua, ma poi improvvisamente si rivela un’abile antagonista del suo collega”, spiega il produttore Fellner. “La sua passione per questo progetto e l’alchimia che si crea con Russell ci hanno dimostrato che non avremmo potuto scegliere un’attrice migliore per il ruolo di Della”.
Come tanti suoi coetanei, l’attrice è appassionata della nuova tecnologia e dell’accesso istantaneo alle informazioni che essa fornisce. “Ero molto interessata all’idea di un nuovo tipo di giornalismo che si fa strada contro quello più tradizionale”, dice McAdams. “E’ un fatto molto importante, che sta cambiando il volto di un’antica e consolidata professione. Ma, anche se con mezzi diversi, Cal e Della hanno entrambi lo stesso scopo: scrivere delle buone storie. Il metodo della donna è più orientato ad una gratificazione immediata: ottiene l’incarico, svolge le sue ricerche al computer, e quindi si mette a scrivere il pezzo. Cal invece non fa ricerche al computer e si infila subito nella mischia, si ‘sporca le mani’, indaga in prima persona”.
Il rapporto fra il consumato reporter e la giovane apprendista ha affascinato il regista. Macdonald ha apprezzato il fatto che gli scrittori abbiano raccontato una storia fra “due persone che in fondo si odiano e che finiscono però per essere molto legate. La cosa che mi piace – che è il tema di fondo del film – è il confronto fra una persona giovane e una meno giovane fra cui non c’è sesso, bensì il tipo di subordinazione che si instaura fra il mentore e il suo allievo. Spesso questo tipo di rapporto non è esplorato nei film”.
Robin Wright Penn è stata scritturata nel ruolo di Anne Collins, una donna divisa fra il marito – di cui ammira ancora gli ideali ma con cui non vive più alcuna intimità – e Cal McAffrey, il migliore amico del marito, del quale si è innamorata. Già ammiratrice del precedente lavoro di Macdonald, Wright Penn era desiderosa di unirsi al progetto quando ne è venuta a conoscenza. Era rimasta colpita dal livello di intelligenza e profondità dei suoi documentari e ha capito che avrebbe dato vita a un perfetto thriller politico.
Hauptman è rimasto particolarmente colpito dalla passione dell’attrice nel raccontare la storia di Anne, che tutti i media conoscono a menadito: la moglie di un noto politico si ritrova al fianco di un donnaiolo che si sta bruciando la carriera. Il produttore ricorda un momento di recitazione particolarmente toccante. “Quando Robin fa un discorso in veste di moglie di Stephen, in quel momento in realtà sta pregando i giornalisti presenti alla conferenza stampa, di lasciarli in pace e di concentrarsi su altri problemi”, dice Hauptman. “Robin ha interpretato questa scena con la massima integrità e autenticità. Se l’attore crede in quel che sta facendo, allora anche il pubblico ci crederà”.
L’attrice premio Oscar® Helen Mirren è stata attratta dal progetto di STATE OF PLAY non solo per la validità della storia, ma anche per il fatto che avrebbe incarnato una delle più potenti donne del mondo della stampa, alcune delle quali ha incontrato di persona durante il suo primo giorno sul set. “Mi piaceva l’intelligenza del progetto, la sua attualità e modernità”, osserva Mirren. “Inoltre il mio è un ruolo fantastico. Prima di iniziare le riprese ero andata in Irlanda per un’intervista con l’Irish Times e a un certo punto il giornalista mi ha detto che l’editore del suo giornale era una donna’. Questa informazione mi ha entusiasmato e ho voluto incontrarla. Era una persona davvero interessante”.
Mirren ha svolto altre ricerche per il ruolo della super-energica direttrice Cameron Lynne, intervenendo in una sessione di lavoro di Los Angeles Times. “Ci hanno cortesemente concesso di prendere parte a ciò che comunemente chiamano ‘la riunione delle 4:00′”, racconta l’attrice. “Il capo di ogni redazione offre la propria storia da mettere in prima pagina. Nella stanza si respira un’atmosfera elettrizzante. Si ha la sensazione di trovarsi fra persone molto intelligenti e assolutamente risolute. Non sono ‘gentili’ fra loro, ma molto dirette, molto precise. Bisogna avere i nervi d’acciaio per far parte di quell’ambiente”. Macdonald ha apprezzato il fatto che Mirren abbia percepito la pressione cui viene sottoposto il direttore di un giornale, un’esperienza quotidiana nelle redazioni di tutto il mondo. Dichiara: “Il Globe ha un nuovo proprietario. I lettori stanno diminuendo come sta accadendo in ogni altro giornale e Cameron vuole la grande storia di sesso cui Cal e Della stanno dando la caccia. Ne ha bisogno rapidamente perché questo aiuterà la circolazione della testata e darà prestigio al suo nome. Cameron è solo combattuta fra i suoi vecchi istinti di giornalismo ‘corretto’ e una nuova propensione nei confronti di un certo gossip che aiuterebbe il giornale a sopravvivere”.
Il regista è stato contento che la celebre attrice abbia accettato di unirsi al cast, e afferma: “Questa è stata la mia migliore idea rispetto al casting del film. A un certo punto ho pensato: ‘Chi meglio di Helen Mirren sa mettere in scena controllo e intelligenza? Quale altra donna sa interpretare l’autorità in modo altrettanto attraente, forte e ammirevole?’ Fortunatamente Helen ha accettato”.
Diversi personaggi chiave erano necessari a presentare al pubblico Pointcorp, un contractor militare
privato che usa il suo potere per incastrare l’unico uomo che incontra sulla sua strada e che è in grado di
siglare contratti ben più fruttuosi del suo con il Dipartimento della Difesa: Stephen Collins. Spiega
Macdonald rispetto al peso di questa azienda: “La Pointcorp è una società mercenaria. Negli ultimi 20
anni l’America ha privatizzato un po’ tutto. Ora la privatizzazione ha raggiunto persino il settore militare, la
CIA e l’FBI, lo spionaggio, le intercettazioni, e tutto il resto”.
Jason Bateman è stato scritturato per unirsi al cast di STATE OF PLAY nel ruolo del contatto di Sonia presso la Pointcorp, l’appariscente agente Dominic Foy. L’attore, che Macdonald definisce “il migliore improvvisatore che abbia mai incontrato”, interpreta un losco individuo che introduce la giovane stagista all’interno del mondo dello spionaggio politico. Per girare il film Bateman ha dovuto interrompere tutti gli altri suoi impegni. Nonostante per Bateman non sia stato facile calarsi nella parte di un uomo egoista e spregevole che si serve di chiunque lo circondi per alimentare la sua sete di potere e i suoi vizi, i suoi coprotagonisti hanno molto gustato la sua interpretazione.
Jeff Daniels, che interpreta invece il ruolo dello spietato senatore George Fergus, afferma di aver trovato molto interessante l’esplorazione dell’odierno legame fra giornalismo e politica: “La cosa interessante del film sono i paralleli fra ciò che accade oggigiorno fra media e giornalismo. Oggi esistono canali all news, notiziari che vanno in onda 24 ore su 24 e che, anche quando non succede nulla, devono ‘nutrire il mostro'”.
Sostiene il cast dei protagonisti una nutrita schiera di attori di talento. Insieme aiutano il pubblico – come dice Macdonald – “a esaminare i vari indizi, le briciole di pane che Cal e Della seguono insieme”. Il cast comprende VIOLA DAVIS (Il Dubbio) nel ruolo del medico legale Judith Franklin; DAVID HARBOUR (Quantum of Solace) nel ruolo dell’inflitrato della Pointcorp, Red Six; MICHAEL WESTON (Garden State) e JOSH MOSTEL (Knockaround Guys) nei ruoli, rispettivamente, dei due reporter fumatori di spinelli del Washington Globe Hank e Pete; BARRY SHABAKA HENLEY (Miami Vice) nel ruolo del bistrattato redattore di cronaca Gene Stavitz; KATY MIXON (Tutti insieme inevitabilmente) nel ruolo della seducente compagna di stanza di Sonia, Rhonda Silver; HARRY LENIX (Ray) nel ruolo del contatto di McAffrey all’interno della polizia di Washington, il Detective Bell; MICHAEL BERRESSE (AI – Intelligenza artificiale) nel ruolo del killer Robert Bingham; e MARIA THAYER (Non mi scaricare) nel ruolo di Sonia Baker, la bella assistente che incontra una morte prematura.
I corridoi del potere: Design e Location
“Un giornale puà dare a questa notizia il taglio che vuole.
Secondo te come la prenderanno?”
-Cal McAffrey
Los Angeles
Creare la complessa redazione e la tipografia dove Cal, Della, Cameron e altri colleghi lavorano al Washington Globe ha richiesto non solo un’ampia ricerca, ma anche la costruzione di due teatri di posa presso i Culver Studios di Culver City, in California, che hanno ospitato la finta sede del giornale. E’ stato il set più dettagliato in cui i filmmakers ricordano di aver mai lavorato.
Per ideare l’ambiente di lavoro degli scrittori e dei redattori del Washington Globe, lo scenografo Mark Friedberg e la decoratrice del set cinque volte nominata all’ Oscar® CHERYL CARASIK, hanno visitato le redazioni di diversi giornali, fra cui il Washington Post e il Los Angeles Times, scattando moltissime foto e prendendo visione di documenti d’archivio che sono serviti come fonte d’ispirazione.
Il luogo del film in cui l’autenticità della riproduzione è stata una priorità è la redazione. “Il nostro effetto speciale è stato il set della redazione”, afferma il regista con orgoglio. “Ci abbiamo messo tutto il nostro amore in quel set, che abbiamo costruito all’interno di due teatri di posa, uniti insieme, con una doppia altezza. Un giorno vi abbiamo ospitato 250 giornalisti. Il pubblico crederà senz’altro che si tratti di una vera redazione”.
Afferma lo scenografo Friedberg: “La maggior parte delle persone pensa di sapere come è fatta una redazione di giornale. Il 90 percento delle redazioni si assomigliano: un grande open space con controsoffitti e luci al neon. Noi volevamo renderlo più reale di come lo immagina una persona comune. Abbiamo dovuto anche improvvisare un po’ per rendere più bella la luce fluorescente”.
Nonostante lavori nel cinema da oltre venti anni e abbia visto di tutto, Friedberg è rimasto comunque molto sorpreso dall’ambiente creato dai filmmakers. Racconta ridendo: “La cosa di cui ci siamo resi conto prima di tutto, è quanto siano disordinati i giornalisti. Non hanno il tempo di archiviare i loro documenti, e quindi si limitano ad accomulare grandi pile di carte. Infatti l’unica critica che il nostro consulente tecnico ci ha mosso rispetto alla nostra redazione, è che non era abbastanza disordinata!”
Questo consulente è R.B. BRENNER, uno stimato redattore della cronaca del Washington Post. Come chiunque osservi l’imitazione hollywoodiana della propria realtà, Brenner era inizialmente scettico rispetto alle idee dei filmmakers. Questi timori sono svaniti durante il primo meeting con il regista. “La prima volta che ho incontrato Kevin, sono rimasto colpito dal modo in cui era informato rispetto ai giornali” ricorda Brenner. “Era davvero bravo. Ha esperienza di documentari ed è molto interessato a giornalismo, per il quale nutre un grande rispetto. In quel primo meeting, voleva conoscere per lo più i dettagli, per capire come si agisce in determinate circostanze”.
Spiega Macdonald: “Abbiamo cercato la massima precisione ed accuratezza per riuscire a mostrare esattamente cosa significa essere un giornalista. Il Washington Post ci è stato di enorme aiuto e utilità e ci ha offerto la massima assistenza e disponibilità. Ogni attore ha trascorso almeno mezza giornata all’interno della sua redazione, per apprendere i comportamenti, il linguaggio dei giornalisti. Ci hanno anche permesso di riprendere il processo di stampa. Inoltre ci hanno affiancato R.B. Brenner, che ci ha aiutato a calarci in quella dimensione. Da lui abbiamo appreso la giusta condotta. R.B. è una persona molto responsabile ed etica e considera il giornalismo come un’importante istituzione pubblica. E’ convinto che il reporter sia responsabile della società e che possa nuocere ad essa diffondendo bugie e falsità”.
Brenner è diventato un membro della squadra del film; il Post gli ha concesso un ‘mese sabatico’ per seguire le riprese del nostro film a Los Angeles. Inoltre ha trascorso diversi giorni sul set a Washington, pur continuando a seguire i servizi giornalistici del suo reparto. I suoi consigli rispetto ai dettagli hanno davvero impreziosito il lavoro dello scenografo. Dice Brenner: “Cheryl ha collezionato ticket del parcheggio di Washington, nonché ricevute della tintoria, dei garage. Anche le cose custodite nei cassetti erano autentiche perché lei e Mark credono che tutto contribuisca alla creazione di un personaggio”.
La produzione è rimasta colpita dal modo in cui il giornalismo tradizionale sta cambiando a causa delle informazioni diffuse online. “Il film mostra anche la riduzione della tiratura dei giornali americani”, osserva Friedberg. “Ci sono persone letteralmente sepolte dalle loro carte che svolgono il lavoro di 3-4 persone. Infatti molti uffici si svuotano, molte scrivanie ormai non servono più e vengono portate via dalle stanze, lasciando grandi spazi vuoti”.
La redazione del Washington Globe occupa circa 2000 metri quadrati, e si estende su tutta la superficie dei due teatri di posa. Gli alti soffitti dei Culver Stages si sono rivelati particolarmente adatti per ospitare le scene, infatti gli uffici del Globe erano situati su due livelli con l’ufficio dell’editrice Cameron Lynne strategicamente collocato in un angolo del secondo piano. Il direttore della fotografia Rodrigo Prieto ha utilizzato questo disegno per catturare un’altra prospettiva. Ha posizionato le cineprese per riprendere la scena attraverso la finestra di vetro di Cameron e catturare il formicaio sottostante. Spiega Friedberg: “Questo metodo ha reso una prospettiva tipica degli anni ’70, caratterizzata da angoli obliqui, distante dai personaggi. Era importante anche darle uno spazio di rilievo all’interno della redazione. Cameron non è chiusa nella sua torre d’avorio, ma è una giornalista che lavora come tutti gli altri”.
Macdonald spiega la sua idea: “Il film vuole rendere omaggio anche a Tutti gli uomini del presidente, uno dei più grandi film sul giornalismo americano mai realizzati”.
Oltre ad aver arricchito l’uffico con centinaia di risme di carta, la squadra effetti ha creato diverse immagini per i desktop di centinaia di computer. Un groviglio di fili e di cavi correva sotto il pavimento della redazione da una centralina che comandava le immagini dello schermo. Queste venivano trasmesse alla periferica della redazione e quindi sui diversi monitor. Dopo un mese di riprese all’interno del Globe, la produzione si è trasferita all’esterno per girare nelle varie location intorno a Los Angeles: il Bonaventure Hotel al centro della città, il liceo Mayfield Senior High e il Centinela Hospital di Inglewood, dove Della si reca per incontrare un fattorino ricoverato dopo essere rimasto coinvolto nel fuoco assassino. La produzione è quindi tornata nei teatri di Culver per altre due settimane di riprese. Lì la squadra ha costruito l’interno del caotico appartamento di Cal e la stanza del moteldove Dominic Foy viene interrogato da Cal, Della e Stephen.
Washington, D.C.
Nel Distretto di Columbia, STATE OF PLAY ha effettuato le più lunghe riprese di qualsiasi altra produzione recente, afferma la location manager CAROL FLAISHER. I filmmakers stavano cercando dei luoghi che mostrassero dove i cittadini di Washington vivono e lavorano, non solo i monumenti visitati dai turisti. Flaisher ha sfidato le molteplici e complesse burocrazie per riuscire a infondere al film la versione più autentica di una capitale pulsante e non stereotipata.
Flashier ammette che Washington non è un posto facile dove girare un film: “Bisogna chiedere i permessi a una serie interminabile di agenzie: il distretto, la polizia del distretto, il servizio del parco, la polizia del parco, il Campidoglio, i servizi segreti, l’amministrazione generale, solo per elencarne alcuni. La sicurezza, per ovvie ragioni, è molto rigida e ci sono diversi posti in cui non si può girare. I poliziotti del distretto comunque sono stati fantastici. Hanno cercato in tutti i modi di facilitarci la vita ed è grazie a loro che siamo riusciti a girare”.
Il mercato del pesce di Maine Avenue, vicino al porto – uno dei pochi mercati del pesce all’aperto della Costa orientale – è stato uno dei primi luoghi in cui la troupe ha girato a Washington. E’ lì che Cal incontra l’infiltrato della Pointcorp, Red Six, per rintracciare il mercenario impegnato nella trattativa con la società. Qualche giorno dopo la produzione ha girato in una strada di fronte alla sede della Banca Mondiale. Questo contrasto ha aiutato a dare un’idea dell’eterogenità della città.
Un’altra location importante è stata la Biblioteca del Congresso, un luogo storico, il più antico dell’intera nazione, in cui la produzione ha girato la scena in cui Stephen Collins dà una conferenza stampa dopo la rivelazione della sua relazione intima con Sonia Baker. Fra il pubblico c’erano veri membri della stampa, quale l’icona del Watergate BOB WOODWARD, BOB SCHIEFFER della CBS, MARGARET CARLSON di Bloomberg News, E.J. DIONNE, JR del Washington Post e il giornalista esperto di blog STEVEN CLEMONS.
Anche l’Auditorium Andrew W. Mellon ha ospitato diversi giorni di riprese. Considerato da molti uno dei migliori esempi di architettura neoclassica americana, l’edificio è situato su Constitution Avenue davanti al National Mall. Una delle scene è stata girata da un balcone e mostrava sia i musei che la cupola del Congresso.
Da questi edifici storici, la compagnia si è spostata sulla strada, all’interno di un noto locale che resta uno dei simboli della cultura pop di Washington. Ben’s Chili Bowl su U Street, vicino lo storico Lincoln Theatre, è noto sia per il suo menu, sia per il ruolo che svolse nel soffocare le rivolte esplose in seguito all’assassinio di Martin Luther King nel 1968. Un posto ricordato come un’oasi di pace durante la ribellione che furoreggiava su U Street, un locale frequentato dagli afro-americani in cui Duke Ellington e altri musicisti jazz si esibivano al Lincoln.
La sezione ricca di storia di Mount Pleasant, nell’area nordoccidentale di Washington, ospita il modesto edificio di mattoni che funge da esterno dell’appartamento di Cal. La produzione, che ha girato nel corso di un weekend, ha costituito una grande attrazione per i residenti, che sono rimasti in piedi tutta la notte per assistere alle riprese, e anche i negozi di Mount Pleasant Street sono rimasti aperti.
Alcune agenzie federali hanno offerto alla produzione le loro sedi, fra cui il Dipartimento degli Interni e il Dipartimento degli Alloggi e dello Sviluppo Urbano. Quest’ultimo è stato trasformato nell’esterno dell’ospedale in cui Cal consola Della, sconvolta dopo aver assistito ad un omicidio. Un sistema di irrorazione è stato collocato sul tetto dell’enorme complesso, per creare l’ambiente più tetro adatto alla scena.
Lo Scottish Rite Temple sulla 16° Strada, nella zon a del Dupont Circle, è uno dei più grandi monumenti architettonici, anche se la maggior parte dei turisti della capitale non lo conosce. Il monumento è la riproduzione del Mausoleo di Alicarnasso, con due sfingi sulle porte centrali che rappresentano saggezza e potere. E’ stato disegnato da John Russell Pope, noto anche per aver ideato il Jefferson Memorial. Il film ha girato diverse scene in questo posto, compresa quella dell’interno dell’ufficio del deputato Collins e la sequenza in esterno in cui Cal e Della passano davanti a una banda che sta facendo le prove.
Sia il meno noto Americana Hotel di Arlington, in Virginia, che il famigerato Watergate Hotel sono stati teatro di due scene importanti. Allo stesso modo, il Kennedy Center ha aperto le sue porte alla produzione, consentendo la scena del balletto dei bambini – in cui Cal confronta il Senatore Fergus -all’interno di una delle sue marmoree aree di ricevimento. Persino la Metropolitan Transit Authority ha consentito al film di girare un paio di scene importanti. Non è stato un permesso facile da ottenere, viste le varie restrizioni imposte per la sicurezza e i servizi.
Per la sequenza finale, la troupe ha avuto l’onore di vedere la stampa delle proprie copie del Washington Globe. Macdonald racconta uno dei momenti di maggiore orgoglio della produzione: “La tipografia del Washington Post ci ha consentito di stampare il nostro giornale nel loro laboratorio in Virginia. Si vede il Globe con il titolo che annuncia la fine della nostra storia!”
Cineprese e costumi
Lavorando con Friedberg, il direttore della fotografia Prieto e Macdonald assicurano che qualsiasi decisione era asservita al desiderio del regista di “mostrare visivamente il cambiamento di status dei giornalisti il cui prestigio è molto diminuito dagli anni ’70 ad oggi”.
Oltre al look particolare del film, Prieto ha usato due diversi tipi di cinepresa: la Panavision standard – equipaggiata con una nuova generazione di lenti anamorfiche che non erano ancora state utilizzate in un film a soggetto – e una Genesis digitale. “Abbiamo preso la decisione di esplorare due mondi, ognuno dei quali doveva essere ben distinto dall’altro”, spiega Prieto. “Abbiamo usato lenti anamorfiche per il mondo del giornalismo e il digitale per il mondo della politica- anche perché ogni volta che noi, cittadini comuni, vediamo un politico, è attraverso una video camera”.
Inoltre il direttore della fotografia e Macdonald hanno avvertito l’importanza di diversificare i personaggi attraverso l’uso delle lenti. “Cal è piuttosto trascurato nel suo comportamento e il suo appartamento è sciatto”, dice Prieto. “Il mondo di Stephen è più formale, con forme più taglienti. Ovviamente queste differenze non risultano ‘ovvie’, ma il pubblico le percepirà in modo naturale, facendosi un’idea dei personaggi anche sulla base dell’atmosfera che li circonda. La scena clou del film è girata con la cinepresa manuale, perché in quel momento i due mondi si uniscono, il deputato entra nel mondo di Cal”.
Jacqueline West ha scelto i costumi di STATE OF PLAY con la stessa attenzione al realismo che caratterizza il film. “Kevin aveva un’idea molto chiara del tipo di atmosfera e di look che voleva per il film”, racconta l’artista. “Siamo stati entrambi ispirati dai film degli anni ’70 e dai loro colori. Kevin ama molto il realismo della ‘strada’”.
Trailer italiano:
Il cast:
Clip dal film:
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