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Cinema futuro (639): “State of Play” 28/04/2009

Posted by Antonio Genna in Cinema e TV, Cinema futuro, Video e trailer.
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Cinema futuro - Il cinema del prossimo week-end“State of Play”

Uscita in Italia: giovedì 30 aprile 2009
Distribuzione: Universal Pictures Italy

stateofplayTitolo originale: “State of Play”
Genere: thriller / drammatico
Regia: Kevin Macdonald
Sceneggiatura: Matthew Michael Carnahan, Tony Gilroy e Billy Ray (basato sulla serie TV inglese di Paul Abbott)
Musiche: Alex Heffes
Uscita negli Stati Uniti: 17 aprile 2009
Sito web ufficiale (USA): cliccate qui
Sito web ufficiale (Italia): cliccate qui
Cast: Russell Crowe, Ben Affleck, Rachel McAdams, Robin Wright Penn, Jason Bateman, Helen Mirren, Jeff Daniels, Harry Lennix, Maria Thayer

La trama in breve…
State of Play
, diretto dal talentuoso Kevin MacDonald (Un giorno a settembre, L’ultimo re di Scozia), è un thriller ‘al veleno’, che racconta le vicende di Stephen Collins (Ben Affleck), astro nascente della politica, e di Cal McAffrey (Russell Crowe), navigato giornalista, alle prese con una serie di omicidi apparentemente non collegati fra loro.
McAffrey, reporter del Washington Globe diretto da Cameron Lynne (Helen Mirren), con l’aiuto della giovane giornalista blogger Della Frye (Rachel McAdams) proverà a dipanare un fitto mistero, che vede coinvolte le figure politiche e imprenditoriali più illustri dell’intera nazione.
Il film riflette non solo sui rapporti tra giornalismo e potere, ma anche su quelli tra vecchi e nuovi media. Nella partita a scacchi messa in scena, due importanti schieramenti si danno battaglia a colpi di intrighi e oscure manovre: da un lato i politici, che vorrebbero mantenere la propria influenza ad ogni costo, dall’altro i giornalisti, il cui principale obiettivo è quello di svelare storie di corruzione connesse a un potere incontrollato.
Il film brilla anche per il resto del cast formato da una squadra di grandi talenti: Robin Wright Penn (Beowulf; New York, I Love You) nel ruolo della moglie del politico; Jason Bateman (Hancock, The Kingdom) nei panni del manipolatore ‘PR’ Dominic Foy; Jeff Daniels (Good Night, and Good Luck, Sguardo nel vuoto) in quelli di George Fergus, un potente senatore che rischia la reputazione del suo partito.

“I bravi giornalisti non hanno amici, ma solo fonti”
-Cameron Lynne, direttrice di The Washington Globe

Nella partita a scacchi giocata dai maggiori esponenti di Beltway, due importanti schieramenti si danno battaglia a colpi di  intrighi e oscure manovre: da un  lato  i politici,  che  vorrebbero mantenere  la propria influenza  ad  ogni  costo,  dall’altro  i  giornalisti,  il  cui  principale  obiettivo  è  quello  di  svelare  storie  di corruzione connesse a un potere incontrollato. Gli avversari sono legati fra loro solo dal bisogno che tutti hanno dell’altro. E l’omicidio – fisico o metaforico che sia – è a volte l’unico modo per porre fine a un gioco troppo grande e pericoloso.

L’attore  premio  Oscar ®  RUSSELL  CROWE  (Il  Gladiatore,  American  Gangster)  è  il  protagonista  di STATE OF PLAY,  diretto  da KEVIN MACDONALD  (Un  giorno  a  settembre,  L’ultimo  re  di Scozia),  un thriller ‘al veleno’, che racconta le vicende di un astro nascente della politica e di un giornalista alle prese con  una  serie  di  omicidi  apparentemente  non  collegati  fra  loro.  Crowe  interpreta  Cal  McAffrey,  un veterano reporter di Washington dotato di un’incrollabile determinazione ed energia, che riesce a dipanare un fitto mistero che vede coinvolte le figure politiche e imprenditoriali più illustri dell’intera nazione.  L’ambizioso  e  imperturbabile  deputato  statunitense  Stephen  Collins  (l’attore  premio  Oscar®  BEN AFFLECK, Hollywoodland, Gone Baby Gone) rappresenta  il  futuro del suo partito politico e presiede un comitato che supervisiona le spese per la difesa nazionale. Grandi speranze ed aspettative sono riposte in un uomo che diventerà una  figura di spicco nella storia politica americana, fino al giorno  in cui  la sua bella assistente muore tragicamente e segreti, a lungo occultati, iniziano improvvisamente ad affiorare.
McAffrey ha  la  dubbia  fortuna  di essere  un  amico  di  lunga  data  sia  di Collins  che  della determinata direttrice  della  testata Cameron  Lynne  (l’attrice  premio Oscar® HELEN MIRREN,  The Queen, Gosford Park), che gli ha commissionato un servizio su questa storia. Mentre  lui e  la collega apprendista al suo fianco,  di  nome  Della  Frye  (RACHEL  MCADAMS,  Le  pagine  della  nostra  vita,  Red  Eye)  indagano sull’identità del killer, McAffrey scopre uno scandalo che minaccia di scuotere  le maggiori e più potenti istituzioni dell’intero paese.  In una città di  faccendieri e di  ricchi politicanti, McAffrey scoprirà una verità fondamentale: quando ci sono miliardi di dollari in gioco, non si salva l’integrità di nessuno.
Il  resto del cast è  formato da una squadra di grandi  talenti che comprende: ROBIN WRIGHT PENN (Beowulf;  New  York,  I  Love  You)  nel  ruolo  della  fedele  moglie  di  Stephen  Collins,  Anne;  JASON BATEMAN (Hancock, The Kingdom) nel ruolo del manipolatore ‘PR’ Dominic Foy; JEFF DANIELS (Good Night,  and  Good  Luck,  Sguardo  nel  vuoto)  come  George  Fergus,  un  potente  senatore  che  rischia  la reputazione del suo partito.

Affiancano  il  regista dietro  le quinte  i produttori ANDREW HAUPTMAN  (Millions, Leoni per agnelli) e ERIC FELLNER & TIM BEVAN della Working Title (The Interpreter, Burn After Reading – a prova di spia).
La  troupe  comprende  il  direttore  della  fotografia RODRIGO PRIETO  (I  segreti  di Brokeback Mountain, Babel),  lo  scenografo MARK  FRIEDBERG  (Across  the Universe,  Lontano  dal  Paradiso),  la montatrice JUSTINE WRIGHT  (L’ultimo  re di Scozia, La morte  sospesa- Touching  the Void),  il compositore ALEX HEFFES (L’ultimo re di Scozia, Imagine Me & You) e la costumista JACQUELINE WEST (Lo strano caso di Benjamin Button, The New World).

STATE OF PLAY è basato sulla serie televisiva della BBC, creata da PAUL ABBOTT (The Girl in the Café)  ed  è  tratto  dalla  sceneggiatura  di MATTHEW MICHAEL  CARNAHAN  (The  Kingdom,  Leoni  per agnelli),  TONY  GILROY  (Duplicity, Michael  Clayton)  e  di  BILLY  RAY  (Breach  –  l’infiltrato,  Flightplan-mistero in volo).
I  produttori  esecutivi  del  film  sono Paul Abbott, LIZA CHASIN  (The Boat That Rocked, Espiazione), DEBRA HAYWARD (United 93, Orgoglio e pregiudizio) e E. BENNETT WALSH (Disturbia, i due film di Kill Bill).

LA PRODUZIONE

Dall’adattamento all’azione: l’inizio di State of Play

“Nulla può essere ricollegato a me”
-Stephen Collins, membro del Congresso americano

Dalla fase di acquisto alla selezione di cast, la strada per realizzare STATE OF PLAY è stata lunga e tortuosa  quasi  quanto  la  storia  che  il  film  stesso  racconta.  Tutto  ha  inizio  con  il  bellissimo  materiale prodotto dalla penna di Paul Abbott, il creatore della nota e acclamata serie del 2003, in onda su BBC. La determinazione del produttore Andrew Hauptman-affiancato ai colleghi Tim Bevan ed Eric Fellner della Working Titles- ha reso possibile che l’adattamento arrivasse sul grande schermo.
La BBC ha  trasmesso  la prima puntata di State of Play nel maggio del 2003. Pubblico e critica sono stati immediatamente rapiti e conquistati dall’intreccio delle vicende di Stephen Collins, Cal McAffrey e dei loro  colleghi  politici  e  giornalisti.  Poco  dopo  l’esordio  televisivo  della  serie,  Hauptman  ha  avviato  una trattativa  con  agenti  londinesi,  per  la  cessione  dei  diritti  del  lavoro  di  Abbott  al  fine  di  realizzare  una trasposizione cinematografica.
La sua tenacia lo ha infine condotto a un meeting con lo stesso Abbott nella sua casa di Manchester. Lì Hauptman è riuscito a convincere lo scrittore di essere l’uomo giusto per produrre un film basato sul suo lavoro, un  film che sarebbe  rimasto  fedele allo spirito della produzione originale. Hauptman ha concluso l’accordo per adattare STATE OF PLAY nel novembre 2004 e ha quindi dato  il via al  lungo processo di collaborazione fra gli scrittori per plasmare la complessa miniserie di sei ore scritta da Abbott, in un film a soggetto che sposta l’azione nel fulcro del potere americano: Washington, D.C.
Hauptman  riflette sul suo  interesse  in questo progetto, che ha avuto una  lunga gestazione:  “La serie originale è stata molto preziosa come materiale a cui attingere. Era una serie avvincente che catturava lo spettatore; mi è rimasta dentro per tanto tempo. Ho sempre pensato che spostando l’azione a Washington D.C.,  la  storia  avrebbe  avuto  ancora  più  respiro,  avrebbe  acquistato  più  forza  e  sviluppato  le  sue potenzialità, conservando tutta la sua intelligenza.
“La  vicenda  è  stata  arricchita  dalla  possibilità  di  entrare  nel mondo  di  una  redazione  televisiva  e  di percepire le difficoltà di fare un giornale, di cercare una storia e la sua verità, con tutte le sue implicazioni”, continua. “La miniserie funzionava bene perché raccontava del sottile equilibrio fra politica e giornalismo, delle dinamiche dei media televisivi, di spionaggio aziendale e di cospirazioni. Ma allo stesso tempo ci si rende  conto  che  è  una  storia  che  parla  anche  di  individui,  di  scelte  e  di  motivazioni  profondamente personali. Una storia sui conflitti, sui compromessi, sulla  lealtà, sull’amore, sul potere e sulle aspirazioni professionali. Un intreccio fantastico”.
Abbott ovviamente non voleva che la sua serie costruita ad arte, andasse a finire nelle mani sbagliate per quanto  riguarda  la  trasposizione.  “Nelle mie  iniziali conversazioni con Paul, mi sono  reso conto che era preoccupato di come avremmo  trasformato  il suo dramma  in sei ore  in un  film a soggetto”, continua Hauptman.  “Tutti  e  due  volevamo  fare  un  film  che  fosse  degno  della  serie  e  che  ne  preservasse  la qualità”.
Hauptman  ha  trascorso  gli  anni  successivi  a  sviluppare  il  progetto,  quindi  lo  ha  presentato  alla Universal Pictures, che si è avvalsa della collaborazione della Working Title Films, la società di Tim Bevan ed Eric Fellner, nota per aver prodotto alcuni dei film di maggior successo  in  Inghilterra. Afferma Fellner rispetto al desiderio da parte della Working Title, di far parte del progetto: “Anche noi, come tutti gli altri, siamo  rimasti  folgorati  dalla  miniserie  di  diversi  anni  fa.  Paul  metteva  in  mostra  il  lato  più  oscuro dell’essere umano, i suoi lati peggiori di avidità, corruzione e inesorabile ambizione. Tim ed io sapevamo che sarebbe stato complesso distillare tanto materiale valido e ideare una storia altrettanto accattivante… una  storia  forte  e  a  se  stante.  Con  Andrew  e  Kevin  al  nostro  fianco  e  la  giusta  squadra  di  scrittori, abbiamo pensato di poter rendere giustizia alla serie”.
Tovare  il  giusto  regista  per  il  progetto  è  stato  un  processo  altrettanto  elaborato.  I  produttori  hanno compiuto una scelta piuttosto singolare quando hanno scelto un documentarista scozzese vincitore di un Oscar® (e di due premi BAFTA), che non era ancora molto noto nel mondo del cinema, fino a quando  il suo esplosivo primo film a soggetto L’ultimo re di Scozia, non ha trascinato pubblico e critica.  Con un film che ha meritato a Forest Whitaker l’Oscar come Migliore Attore, Macdonald in precedenza è  stato  un’istituzione  nella  comunità  giornalistica  per  il  suo  importante  lavoro  d’analisi  –  premiato  con l’Oscar – dei tragici omicidi degli atleti delle Olimpiadi di Monaco di Baviera di One Day in September (Un giorno  a  settembre).  La  sua  specialità  è  quella  di  mostrare  il  lato  più  nascosto  di  uomini  che  sono diventate icone – sia che si tratti di leggende del rock o del cinema come Mick Jagger e Howard Hawks, o di efferati assassini quali Idi Amin e Klaus Barbie.
Ricorda Hauptman rispetto alla sua decisione: “Abbiamo cercato in tutto  il mondo la persona giusta e siamo stati molto fortunati a incontrare Kevin, un ragazzo molto integro. Aveva visto la serie ed era stato molto toccato dai suoi temi. Dal punto di vista di un esperto di documentari, si tratta di temi molto attuali, molto interessanti da esplorare”.
“Quando ho visto State of Play in TV, mi è piaciuto moltissimo”, osserva Macdonald. “E’ piaciuto a tutti in  Inghilterra e ha vinto ogni possibile premio  televisivo. Cinque anni dopo, ho  ricevuto un copione. Ero incuriosito ma anche piuttosto sospettoso, inizialmente, perché la serie mi era piaciuta molto e non volevo che un film potesse in qualche modo rovinarla, soprattutto condensando eccessivamente gli eventi che in TV si sviluppano nell’arco di sei ore”.
Macdonald  non  aveva  interesse  nel  girare  di  nuovo  il  lavoro  dei  creatori  della  miniserie  e  spiega “Nonostante la storia sia fondamentalmente la stessa, l’abbiamo resa molto diversamente. L’abbiamo re-inventata, era l’unico modo per rendere giustizia ad una fonte tanto perfetta”.
Il cineasta era incuriosito in particolare dal modo in cui il copione di State of Play osserva il declino del giornalismo della  carta  stampata e  la  fine dei quotidiani  in alcuni mercati. Considera Cal McAffrey una specie di sopravvissuto  in una generazione quasi scomparsa: un giornalista  tradizionale che scandaglia fino a quando non si ritiene soddisfatto, un giornalista che ‘lima’ la sua storia  la notte prima che vada  in stampa. Il capo di McAffrey accetta la sfida di pubblicare lo scandalo o di rovinarsi e Della Frye proviene da  una  nuova  scuola  di  giornalisti  che  ha  familiarità  con  il  multi-tasking  e  l’accesso  istantaneo all’informazione. Nel suo mondo il blogger che per primo pubblica un’informazione, è spesso  l’esperto in materia (e quindi la fonte più citata).
Prima che il film iniziasse, State of Play è rimasto in una fase di stallo dovuta allo sciopero degli scrittori del Writers Guild of America,  iniziato alla  fine del 2007 e  terminato all’inizio del 2008. A causa del  forte ritardo  che  ha  colpito  la  produzione,  i  due  protagonisti  originali  del  film  hanno  abbandonato  il  campo. Tuttavia i produttori erano convinti del loro copione e hanno deciso di andare avanti. Hanno presentato il progetto a due attori premi Oscar® che hanno prontamente infuso nuova vita al progetto.

Giornalisti e Politici: la scelta del cast

“Abbiamo per caso appena infranto la legge?”
-la blogger del Globe Della Frye

“No, questo è ciò che si chiama buon giornalismo!”
-Capo redattore della cronaca del Globe Cal McAffrey

Per  il ruolo del redattore veterano di The Washington Globe Cal McAffrey,  i filmmakers cercavano un attore capace  di  esprimere  il  coraggio  e  l’astuzia  di  un  consumato mestierante, ma  anche  un  burbero veterano aggrappato alla tradizione di un giornalismo che sta cambiando troppo velocemente. Macdonald parla di questo personaggio incaricato di dire la verità, per quanto scomoda: “Cal è il reporter più anziano e autorevole del giornale- un uomo molto intelligente che merita senza dubbio una posizione di maggiore rilievo. Dovrebbe  lavorare  in politica, ma qualcosa – nella vita –  lo ha  trattenuto. Rappresenta  la nobiltà del giornalismo, ma anche il suo declino”.
Durante la selezione degli attori, lo studio ha avuto un colpo di fortuna. Macdonald racconta: “I dirigenti mi hanno chiesto:  ‘Chi vuoi?’ e  io ho  risposto:  ‘Voglio  il migliore: Russell Crowe’. E  loro mi hanno detto: ‘Okay, vediamo’. Così abbiamo mandato il copione a Russell. Tre giorni dopo ero su un aereo diretto  in Australia. Ventiquattro ore dopo  lui aveva accettato e due settimane dopo era sul set. Russell è entrato, ha  letteralmente  preso  il  suo  personaggio  per  la  collottola  e  ha  capito  perfettamente  come  doveva impersonare Cal”.
Hauptman era molto contento della scelta di Crowe nel ruolo di questo osso duro del giornalismo che ha  una  relazione  con  la moglie  del  suo migliore  amico.  “Russell  è  entrato  totalmente  in  questo  ruolo”, spiega  il  produttore.  “Cal  ha  opinioni molto  forti  rispetto  a  ciò  che  il  giornalismo  è  diventato  oggi  e  un ricordo un po’ idealizzato di come era un tempo”.
Crowe  considera  il  suo  personaggio  piuttosto  atipico  e  quindi  innovativo  dal  punto  di  vista cinematografico.  “La  storia  analizza  l’ambiguità  dell’idea  di  una  stampa  obiettiva”,  afferma  l’attore.  “I giornalisti dicono di essere obiettivi e che i loro rapporti e la loro vita non influenzano ciò che scrivono. Ma in questo caso non è vero. E’ proprio questo l’aspetto che più mi ha interessato: la loro umanità, nel bene e nel male. In realtà prendono le cose personalmente e non possono non lasciarsi coinvolgere dalle storie che raccontano – con tutto ciò che ne consegue, di negativo e di positivo”.
L’attore era  interessato al modo  in cui  il suo personaggio non può essere obiettivo al 100%, poiché indaga  in  un  caso  di  omicidio  in  cui  è  implicato  un  suo  caro  amico.  “Cal  è  un  essere  umano  le  cui convizioni lo spingono all’azione”, dice Crowe. “Ma non è eroismo;  lui fa semplicemente ciò che sente di fare per conto del suo amico. Quindi fin dall’inizio dela storia, il suo punto di vista è inquinato”.
La  lunga relazione di McAffrey sia con Stephen Collins che con  la moglie di Collins, Anne,  lo porta a voler  raccontare  la  storia  dal  loro  punto  di  vista. Fin  dall’inizio  perde  di  vista  quell’obiettività  che  viene insegnata a tutti i redattori fin dal primo giorno di scuola di giornalismo. Osserva Macdonald: “Il senso di colpa che Cal nutre nei confronti dell’amico è uno dei fattori che lo motiva a voler dimostrare l’innocenza di quest’ultimo.  Alla  fine  però  il  suo  cinismo  riemerge  e  torna  a  farsi  dominare  dai  suoi  radicati  istinti professionali”.
Per il ruolo di Stephen Collins, la squadra vedeva benissimo Ben Affleck nel ruolo di questo deputato alle  prese  con  l’omicidio  della  sua  assistente-amante  Sonia  Baker.  Allo  stesso  tempo  Collins  deve affrontare il naufragio del suo matrimonio e una possibile frenata della sua ascesa verso il potere. Spiega il regista a proposito di Collins: “Stephen è il presidente di un comitato molto prestigioso che si occupa di indagare  sui  possibili  abusi  del Dipartimento  della Difesa. E’  un  uomo  estremamente  ambizioso,  ha  la stoffa  di  un  futuro  presidente,  di  un  nuovo  Kennedy.  Ben  Affleck  aveva  la  giusta  fisicità,  la  giusta tranquillità e un forte interesse nella politica, che lo hanno reso perfetto per la parte”.
Affleck, che si è unito alla produzione subito dopo aver terminato il suo primo lavoro di regia dal titolo Gone Baby Gone, si è fidato dell’istinto del regista Macdonald. L’attore  interpreta Collins come un uomo che  sta  letteralmente  ‘implodendo’  a  causa  delle  conseguenze  delle  sue  decisioni.  “La  sua  ambiguità morale è molto interessante”, riflette Affleck. “Ecco un uomo giovane, piendo di  talento e con un grande futuro davanti a sé, che manda tutto all’aria a causa di una relazione clandestina con una donna che viene assassinata. Questo evento coincide con la fine del suo matrimonio e con il crollo di un codice militare da lui  stesso  abbracciato  sotto  le  armi. Credo  che  Stephen  tutto  sommato  sia  in  buona  fede, ma  che  la situazione gli sfugga gradualmente di mano”.
L’amicizia del suo personaggio con Collins genera conflitti che Crowe considera molto interessanti da esplorare –  specialmente  il  modo  in  cui  i  media  sono  disposti  a  lasciarsi  manipolare.  Dice  l’attore: “Stephen  Collins  è  come  un  abile  giocatore  di  scacchi  che  usa  tutti  i  suoi  trucchi  per  ottenere  un vantaggio. Vive in un mondo in cui i temi da trattare sono sempre legati ad amici cui restituire dei favori. Lo stesso vale per  il mondo della stampa che, nella frenesia di battere  la competizione, cerca con  tutti  i mezzi di scovare fonti segrete che in realtà si lasciano svelare per un proprio interesse personale”.
La giovane reporter che affianca il navigato McAffrey, la blogger del Washington Globe Della Frye, è la prima  a  scoprire  un  legame  fra  queste  morti  apparentemente  non  collegate  fra  loro.  Nonostante  la ragazza  possa  avere,  a  detta  di Macdonald,  “opinioni  semplicistiche  e  spesso  non  basate  sui  fatti”,  la familiarità di Frye con il mondo tecnologico la rende, almeno all’inizio, la collega meno consona a lavorare con McAffrey. Ma alla fine i due imparano a complementarsi per arrivare al nocciolo del problema.  “Rachel  è  fantastica  nell’apparire  inizialmente  un’ingenua, ma  poi  improvvisamente  si  rivela  un’abile antagonista  del  suo  collega”,  spiega  il  produttore  Fellner.  “La  sua  passione  per  questo  progetto e l’alchimia  che  si  crea  con  Russell  ci  hanno  dimostrato  che  non  avremmo  potuto  scegliere  un’attrice migliore per il ruolo di Della”.
Come tanti suoi coetanei, l’attrice è appassionata della nuova tecnologia e dell’accesso istantaneo alle informazioni che essa  fornisce.  “Ero molto  interessata all’idea di un nuovo  tipo di giornalismo che si  fa strada contro quello più tradizionale”, dice McAdams. “E’ un fatto molto importante, che sta cambiando il volto di un’antica e consolidata professione. Ma, anche se con mezzi diversi, Cal e Della hanno entrambi lo stesso scopo: scrivere delle buone storie.  Il metodo della donna è più orientato ad una gratificazione immediata: ottiene l’incarico, svolge le sue ricerche al computer, e quindi si mette a scrivere il pezzo. Cal invece non  fa  ricerche al  computer  e  si  infila  subito nella mischia,  si  ‘sporca  le mani’,  indaga  in  prima persona”.
Il  rapporto  fra  il consumato  reporter e  la giovane apprendista ha affascinato  il  regista. Macdonald ha apprezzato il fatto che gli scrittori abbiano raccontato una storia fra “due persone che in fondo si odiano e che finiscono però per essere molto legate. La cosa che mi piace – che è  il tema di fondo del film – è  il confronto  fra  una  persona  giovane  e  una  meno  giovane  fra  cui  non  c’è  sesso,  bensì  il  tipo  di subordinazione  che  si  instaura  fra  il  mentore  e  il  suo  allievo.  Spesso  questo  tipo  di  rapporto  non  è esplorato nei film”.
Robin Wright Penn è stata scritturata nel ruolo di Anne Collins, una donna divisa fra  il marito – di cui ammira ancora gli  ideali ma con cui non vive più alcuna  intimità – e Cal McAffrey,  il migliore amico del marito, del quale si è  innamorata. Già ammiratrice del precedente lavoro di Macdonald, Wright Penn era desiderosa  di  unirsi  al  progetto  quando  ne  è  venuta  a  conoscenza.  Era  rimasta  colpita  dal  livello  di intelligenza  e  profondità  dei  suoi  documentari  e  ha  capito  che  avrebbe  dato  vita  a  un  perfetto  thriller politico.
Hauptman è rimasto particolarmente colpito dalla passione dell’attrice nel raccontare la storia di Anne, che tutti i media conoscono a menadito: la moglie di un noto politico si ritrova al fianco di un donnaiolo che si  sta  bruciando  la  carriera.  Il  produttore  ricorda  un momento  di  recitazione  particolarmente  toccante. “Quando Robin  fa un discorso  in veste di moglie di Stephen,  in quel momento  in  realtà sta pregando  i giornalisti  presenti  alla  conferenza  stampa,  di  lasciarli  in  pace  e  di  concentrarsi  su  altri  problemi”,  dice Hauptman. “Robin ha interpretato questa scena con la massima integrità e autenticità. Se l’attore crede in quel che sta facendo, allora anche il pubblico ci crederà”.
L’attrice premio Oscar® Helen Mirren è stata attratta dal progetto di STATE OF PLAY non solo per la validità della storia, ma anche per  il  fatto che avrebbe  incarnato una delle più potenti donne del mondo della stampa, alcune delle quali ha incontrato di persona durante il suo primo giorno sul set. “Mi piaceva l’intelligenza del progetto, la sua attualità e modernità”, osserva Mirren. “Inoltre il mio è un ruolo fantastico. Prima di  iniziare  le  riprese ero andata  in  Irlanda per un’intervista con  l’Irish Times e a un certo punto  il giornalista  mi  ha  detto  che  l’editore  del  suo  giornale  era  una  donna’.  Questa  informazione  mi  ha entusiasmato e ho voluto incontrarla. Era una persona davvero interessante”.
Mirren ha svolto altre ricerche per il ruolo della super-energica direttrice Cameron Lynne, intervenendo in una sessione di lavoro di Los Angeles Times. “Ci hanno cortesemente concesso di prendere parte a ciò che comunemente chiamano ‘la riunione delle 4:00′”, racconta l’attrice. “Il capo di ogni redazione offre la propria  storia  da mettere  in  prima  pagina.  Nella  stanza  si  respira  un’atmosfera  elettrizzante.  Si  ha  la sensazione di  trovarsi  fra persone molto  intelligenti e assolutamente  risolute. Non sono  ‘gentili’  fra  loro, ma molto dirette, molto precise. Bisogna avere i nervi d’acciaio per far parte di quell’ambiente”. Macdonald  ha  apprezzato  il  fatto  che  Mirren  abbia  percepito  la  pressione  cui  viene  sottoposto  il direttore di un giornale, un’esperienza quotidiana nelle redazioni di tutto il mondo. Dichiara: “Il Globe ha un nuovo proprietario. I lettori stanno diminuendo come sta accadendo in ogni altro giornale e Cameron vuole la  grande  storia  di  sesso  cui Cal  e Della  stanno  dando  la  caccia. Ne  ha  bisogno  rapidamente  perché questo aiuterà la circolazione della testata e darà prestigio al suo nome. Cameron è solo combattuta fra i suoi vecchi  istinti di giornalismo  ‘corretto’ e una nuova propensione nei confronti di un certo gossip che aiuterebbe il giornale a sopravvivere”.
Il regista è stato contento che  la celebre attrice abbia accettato di unirsi al cast, e afferma: “Questa è stata  la mia migliore  idea  rispetto al casting del  film. A un certo punto ho pensato:  ‘Chi meglio di Helen Mirren sa mettere  in scena controllo e  intelligenza? Quale altra donna sa  interpretare  l’autorità  in modo altrettanto attraente, forte e ammirevole?’ Fortunatamente Helen ha accettato”.
Diversi personaggi chiave erano necessari a presentare al pubblico Pointcorp, un contractor militare
privato che usa il suo potere per incastrare l’unico uomo che incontra sulla sua strada e che è in grado di
siglare  contratti  ben  più  fruttuosi  del  suo  con  il  Dipartimento  della  Difesa:  Stephen  Collins.  Spiega
Macdonald  rispetto al peso di questa azienda:  “La Pointcorp è una  società mercenaria. Negli ultimi 20
anni l’America ha privatizzato un po’ tutto. Ora la privatizzazione ha raggiunto persino il settore militare, la
CIA e l’FBI, lo spionaggio, le intercettazioni, e tutto il resto”.
Jason Bateman è stato scritturato per unirsi al cast di STATE OF PLAY nel ruolo del contatto di Sonia presso  la  Pointcorp,  l’appariscente  agente  Dominic  Foy.  L’attore,  che Macdonald  definisce  “il migliore improvvisatore che abbia mai  incontrato”,  interpreta un  losco  individuo che  introduce  la giovane stagista all’interno del mondo dello spionaggio politico. Per girare  il  film Bateman ha dovuto  interrompere  tutti gli altri suoi  impegni. Nonostante per Bateman non sia stato  facile calarsi nella parte di un uomo egoista e spregevole che si serve di chiunque  lo circondi per alimentare  la sua sete di potere e  i suoi vizi,  i suoi coprotagonisti hanno molto gustato la sua interpretazione.
Jeff  Daniels,  che  interpreta  invece  il  ruolo  dello  spietato  senatore George  Fergus,  afferma  di  aver trovato  molto  interessante  l’esplorazione  dell’odierno  legame  fra  giornalismo  e  politica:  “La  cosa interessante del film sono i paralleli fra ciò che accade oggigiorno fra media e giornalismo. Oggi esistono canali all news, notiziari che vanno in onda 24 ore su 24 e che, anche quando non succede nulla, devono ‘nutrire il mostro'”.
Sostiene  il  cast  dei  protagonisti  una  nutrita  schiera  di  attori  di  talento.  Insieme  aiutano  il  pubblico  – come dice Macdonald – “a esaminare i vari indizi, le briciole di pane che Cal e Della seguono insieme”. Il cast comprende VIOLA DAVIS (Il Dubbio) nel ruolo del medico legale Judith Franklin; DAVID HARBOUR (Quantum of Solace) nel ruolo dell’inflitrato della Pointcorp, Red Six; MICHAEL WESTON (Garden State) e JOSH MOSTEL (Knockaround Guys) nei ruoli, rispettivamente, dei due reporter fumatori di spinelli del Washington  Globe  Hank  e  Pete;  BARRY  SHABAKA  HENLEY  (Miami  Vice)  nel  ruolo  del  bistrattato redattore di cronaca Gene Stavitz; KATY MIXON (Tutti insieme inevitabilmente) nel ruolo della seducente compagna  di  stanza  di  Sonia, Rhonda  Silver; HARRY  LENIX  (Ray)  nel  ruolo  del  contatto  di McAffrey all’interno della polizia di Washington, il Detective Bell; MICHAEL BERRESSE (AI – Intelligenza artificiale) nel  ruolo del killer Robert Bingham; e MARIA THAYER  (Non mi scaricare) nel  ruolo di Sonia Baker,  la bella assistente che incontra una morte prematura.

I corridoi del potere: Design e Location

“Un giornale puà dare a questa notizia il taglio che vuole.
Secondo te come la prenderanno?”
-Cal McAffrey

Los Angeles
Creare  la  complessa  redazione  e  la  tipografia  dove Cal, Della, Cameron  e  altri  colleghi  lavorano  al Washington Globe ha richiesto non solo un’ampia ricerca, ma anche la costruzione di due  teatri di posa presso i Culver Studios di Culver City, in California, che hanno ospitato la finta sede del giornale. E’ stato il set più dettagliato in cui i filmmakers ricordano di aver mai lavorato.
Per ideare l’ambiente di lavoro degli scrittori e dei redattori del Washington Globe, lo scenografo Mark Friedberg e la decoratrice del set cinque volte nominata all’ Oscar® CHERYL CARASIK, hanno visitato le redazioni di diversi giornali, fra cui il Washington Post e il Los Angeles Times, scattando moltissime foto e prendendo visione di documenti d’archivio che sono serviti come fonte d’ispirazione.
Il luogo del film in cui l’autenticità della riproduzione è stata una priorità è la redazione. “Il nostro effetto speciale è stato  il set della  redazione”, afferma  il  regista con orgoglio.  “Ci abbiamo messo  tutto  il nostro amore  in quel set, che abbiamo costruito all’interno di due  teatri di posa, uniti  insieme, con una doppia altezza. Un giorno vi abbiamo ospitato 250 giornalisti. Il pubblico crederà senz’altro che si tratti di una vera redazione”.
Afferma  lo scenografo Friedberg:  “La maggior parte delle persone pensa di sapere come è  fatta una redazione  di  giornale.  Il  90  percento  delle  redazioni  si  assomigliano:  un  grande  open  space  con controsoffitti e  luci al neon. Noi volevamo renderlo più reale di come  lo  immagina una persona comune. Abbiamo dovuto anche improvvisare un po’ per rendere più bella la luce fluorescente”.
Nonostante lavori nel cinema da oltre venti anni e abbia visto di tutto, Friedberg è rimasto comunque molto sorpreso dall’ambiente creato dai filmmakers. Racconta ridendo: “La cosa di cui ci siamo resi conto prima di tutto, è quanto siano disordinati i giornalisti. Non hanno il tempo di archiviare i loro documenti, e quindi si limitano ad accomulare grandi pile di carte. Infatti l’unica critica che il nostro consulente tecnico ci ha mosso rispetto alla nostra redazione, è che non era abbastanza disordinata!”
Questo consulente è R.B. BRENNER, uno stimato redattore della cronaca del Washington Post. Come chiunque osservi l’imitazione hollywoodiana della propria realtà, Brenner era inizialmente scettico rispetto alle idee dei filmmakers. Questi timori sono svaniti durante il primo meeting con il regista. “La prima volta che ho incontrato Kevin, sono rimasto colpito dal modo in cui era informato rispetto ai giornali”  ricorda  Brenner.  “Era  davvero  bravo. Ha  esperienza  di  documentari  ed  è molto  interessato  a giornalismo, per  il quale nutre un grande  rispetto.  In quel primo meeting, voleva conoscere per  lo più  i dettagli, per capire come si agisce in determinate circostanze”.
Spiega Macdonald:  “Abbiamo cercato  la massima precisione ed accuratezza per  riuscire a mostrare esattamente cosa significa essere un giornalista. Il Washington Post ci è stato di enorme aiuto e utilità e ci ha  offerto  la  massima  assistenza  e  disponibilità.  Ogni  attore  ha  trascorso  almeno  mezza  giornata all’interno  della  sua  redazione,  per  apprendere  i  comportamenti,  il  linguaggio  dei  giornalisti.  Ci  hanno anche permesso di  riprendere  il processo di stampa.  Inoltre ci hanno affiancato R.B. Brenner, che ci ha aiutato a  calarci  in quella dimensione. Da  lui abbiamo appreso  la giusta  condotta. R.B. è una persona molto responsabile ed etica e considera il giornalismo come un’importante istituzione pubblica. E’ convinto che il reporter sia responsabile della società e che possa nuocere ad essa diffondendo bugie e falsità”.
Brenner è diventato un membro della squadra del film; il Post gli ha concesso un ‘mese sabatico’ per seguire le riprese del nostro film a Los Angeles.  Inoltre ha trascorso diversi giorni sul set a Washington, pur continuando a seguire  i servizi giornalistici del suo  reparto.  I suoi consigli  rispetto ai dettagli hanno davvero  impreziosito  il  lavoro  dello  scenografo.  Dice  Brenner:  “Cheryl  ha  collezionato  ticket  del parcheggio di Washington, nonché ricevute della tintoria, dei garage. Anche le cose custodite nei cassetti erano autentiche perché lei e Mark credono che tutto contribuisca alla creazione di un personaggio”.
La produzione è rimasta colpita dal modo in cui il giornalismo tradizionale sta cambiando a causa delle informazioni diffuse online. “Il film mostra anche la riduzione della tiratura dei giornali americani”, osserva Friedberg.  “Ci sono persone  letteralmente sepolte dalle  loro carte che svolgono  il  lavoro di 3-4 persone. Infatti molti uffici si svuotano, molte scrivanie ormai non servono più e vengono portate via dalle stanze, lasciando grandi spazi vuoti”.
La redazione del Washington Globe occupa circa 2000 metri quadrati, e si estende su tutta la superficie dei due teatri di posa. Gli alti soffitti dei Culver Stages si sono rivelati particolarmente adatti per ospitare le scene,  infatti  gli  uffici  del  Globe  erano  situati  su  due  livelli  con  l’ufficio  dell’editrice  Cameron  Lynne strategicamente collocato in un angolo del secondo piano. Il direttore della fotografia Rodrigo Prieto ha utilizzato questo disegno per catturare un’altra prospettiva. Ha posizionato le cineprese per riprendere la scena attraverso la finestra di vetro di Cameron e catturare il formicaio  sottostante. Spiega Friedberg:  “Questo metodo  ha  reso  una  prospettiva  tipica  degli  anni  ’70, caratterizzata da angoli obliqui, distante dai personaggi. Era importante anche darle uno spazio di rilievo all’interno della redazione. Cameron non è chiusa nella sua torre d’avorio, ma è una giornalista che lavora come tutti gli altri”.
Macdonald spiega  la sua  idea: “Il film vuole rendere omaggio anche a Tutti gli uomini del presidente, uno dei più grandi film sul giornalismo americano mai realizzati”.
Oltre  ad  aver  arricchito  l’uffico  con  centinaia  di  risme  di  carta,  la  squadra  effetti  ha  creato  diverse immagini per i desktop di centinaia di computer. Un groviglio di fili e di cavi correva sotto il pavimento della redazione da una centralina che comandava le immagini dello schermo. Queste venivano trasmesse alla periferica della redazione e quindi sui diversi monitor.  Dopo un mese di riprese all’interno del Globe,  la produzione si è  trasferita all’esterno per girare nelle varie location intorno a Los Angeles: il Bonaventure Hotel al centro della città, il liceo Mayfield Senior High e il Centinela Hospital di Inglewood, dove Della si reca per incontrare un fattorino ricoverato dopo essere rimasto  coinvolto nel  fuoco assassino. La produzione è quindi  tornata nei  teatri di Culver per altre due settimane di  riprese. Lì  la squadra ha costruito  l’interno del caotico appartamento di Cal e  la stanza del moteldove Dominic Foy viene interrogato da Cal, Della e Stephen.

Washington, D.C.
Nel  Distretto  di  Columbia,  STATE  OF  PLAY  ha  effettuato  le  più  lunghe  riprese  di  qualsiasi  altra produzione recente, afferma la location manager CAROL FLAISHER. I filmmakers stavano cercando dei luoghi che mostrassero dove i cittadini di Washington vivono e lavorano, non solo i monumenti visitati dai turisti.  Flaisher ha sfidato le molteplici e complesse burocrazie per riuscire a infondere al film la versione più autentica di una capitale pulsante e non stereotipata.
Flashier  ammette  che Washington  non  è  un  posto  facile  dove  girare  un  film:  “Bisogna  chiedere  i permessi a una serie  interminabile di agenzie:  il distretto,  la polizia del distretto,  il servizio del parco,  la polizia del parco, il Campidoglio, i servizi segreti, l’amministrazione generale, solo per elencarne alcuni. La sicurezza, per ovvie  ragioni, è molto  rigida e ci sono diversi posti  in cui non si può girare.  I poliziotti del distretto comunque sono stati fantastici. Hanno cercato in tutti i modi di facilitarci la vita ed è grazie a loro che siamo riusciti a girare”.
Il mercato del pesce di Maine Avenue, vicino al porto – uno dei pochi mercati del pesce all’aperto della Costa  orientale –  è  stato  uno  dei  primi  luoghi  in  cui  la  troupe  ha  girato  a Washington.  E’  lì  che  Cal incontra l’infiltrato della Pointcorp, Red Six, per rintracciare il mercenario impegnato nella trattativa con la società.  Qualche  giorno  dopo  la  produzione  ha  girato  in  una  strada  di  fronte  alla  sede  della  Banca Mondiale. Questo contrasto ha aiutato a dare un’idea dell’eterogenità della città.
Un’altra location importante è stata la Biblioteca del Congresso, un luogo storico, il più antico dell’intera nazione, in cui la produzione ha girato la scena in cui Stephen Collins dà una conferenza stampa dopo la rivelazione della sua relazione intima con Sonia Baker. Fra il pubblico c’erano veri membri della stampa, quale l’icona del Watergate BOB WOODWARD, BOB SCHIEFFER della CBS, MARGARET CARLSON di Bloomberg  News,  E.J.  DIONNE,  JR  del  Washington  Post  e  il  giornalista  esperto  di  blog  STEVEN CLEMONS.
Anche l’Auditorium Andrew W. Mellon ha ospitato diversi giorni di riprese. Considerato da molti uno dei migliori esempi di architettura neoclassica americana, l’edificio è situato su Constitution Avenue davanti al National Mall. Una  delle  scene  è  stata  girata  da  un  balcone  e mostrava  sia  i musei  che  la  cupola  del Congresso.
Da questi edifici storici, la compagnia si è spostata sulla strada, all’interno di un noto locale che resta uno dei  simboli della cultura pop di Washington. Ben’s Chili Bowl  su U Street,  vicino  lo storico Lincoln Theatre, è noto sia per il suo menu, sia per  il ruolo che svolse nel soffocare  le rivolte esplose in seguito all’assassinio di Martin Luther King nel 1968. Un posto ricordato come un’oasi di pace durante la ribellione che  furoreggiava  su  U  Street,  un  locale  frequentato  dagli  afro-americani  in  cui  Duke  Ellington  e  altri musicisti jazz si esibivano al Lincoln.
La sezione ricca di storia di Mount Pleasant, nell’area nordoccidentale di Washington, ospita il modesto edificio di mattoni che funge da esterno dell’appartamento di Cal. La produzione, che ha girato nel corso di un weekend, ha costituito una grande attrazione per i residenti, che sono rimasti in piedi tutta la notte per assistere alle riprese, e anche i negozi di Mount Pleasant Street sono rimasti aperti.
Alcune agenzie federali hanno offerto alla produzione le loro sedi, fra cui il Dipartimento degli Interni e il Dipartimento  degli  Alloggi  e  dello  Sviluppo  Urbano.  Quest’ultimo  è  stato  trasformato  nell’esterno dell’ospedale  in  cui  Cal  consola  Della,  sconvolta  dopo  aver  assistito  ad  un  omicidio.  Un  sistema  di irrorazione è stato collocato sul  tetto dell’enorme complesso, per creare  l’ambiente più  tetro adatto alla scena.
Lo Scottish Rite Temple sulla 16° Strada, nella zon a del Dupont Circle, è uno dei più grandi monumenti architettonici,  anche  se  la maggior  parte  dei  turisti  della  capitale  non  lo  conosce.  Il monumento  è  la riproduzione del Mausoleo di Alicarnasso, con due sfingi sulle porte centrali che rappresentano saggezza e potere. E’ stato disegnato da John Russell Pope, noto anche per aver ideato il Jefferson Memorial. Il film ha girato diverse scene in questo posto, compresa quella dell’interno dell’ufficio del deputato Collins e la sequenza in esterno in cui Cal e Della passano davanti a una banda che sta facendo le prove.
Sia il meno noto Americana Hotel di Arlington, in Virginia, che il famigerato Watergate Hotel sono stati teatro  di  due  scene  importanti.  Allo  stesso  modo,  il  Kennedy  Center  ha  aperto  le  sue  porte  alla produzione, consentendo  la scena del balletto dei bambini –  in cui Cal confronta  il Senatore Fergus -all’interno  di  una  delle  sue marmoree  aree  di  ricevimento. Persino  la Metropolitan Transit Authority  ha consentito al film di girare un paio di scene importanti. Non è stato un permesso facile da ottenere, viste le varie restrizioni imposte per la sicurezza e i servizi.
Per  la  sequenza  finale,  la  troupe  ha  avuto  l’onore  di  vedere  la  stampa  delle  proprie  copie  del Washington  Globe.  Macdonald  racconta  uno  dei momenti  di maggiore  orgoglio  della  produzione:  “La tipografia  del Washington  Post  ci  ha  consentito  di  stampare  il  nostro  giornale  nel  loro  laboratorio  in Virginia. Si vede il Globe con il titolo che annuncia la fine della nostra storia!”

Cineprese e costumi
Lavorando  con  Friedberg,  il  direttore  della  fotografia  Prieto  e  Macdonald  assicurano  che  qualsiasi decisione  era  asservita  al  desiderio  del  regista  di  “mostrare  visivamente  il  cambiamento  di  status  dei giornalisti il cui prestigio è molto diminuito dagli anni ’70 ad oggi”.
Oltre al look particolare del film, Prieto ha usato due diversi tipi di cinepresa: la Panavision standard – equipaggiata con una nuova generazione di lenti anamorfiche che non erano ancora state utilizzate in un film a soggetto – e una Genesis digitale. “Abbiamo preso la decisione di esplorare due mondi, ognuno dei quali doveva essere ben distinto dall’altro”, spiega Prieto. “Abbiamo usato lenti anamorfiche per il mondo del giornalismo e il digitale per il mondo della politica- anche perché ogni volta che noi, cittadini comuni, vediamo un politico, è attraverso una video camera”.
Inoltre il direttore della fotografia e Macdonald hanno avvertito l’importanza di diversificare i personaggi attraverso  l’uso  delle  lenti.  “Cal  è  piuttosto  trascurato  nel  suo  comportamento  e  il  suo  appartamento  è sciatto”,  dice  Prieto.  “Il mondo  di  Stephen  è  più  formale,  con  forme  più  taglienti.  Ovviamente  queste differenze  non  risultano  ‘ovvie’,  ma  il  pubblico  le  percepirà  in  modo  naturale,  facendosi  un’idea  dei personaggi  anche  sulla  base  dell’atmosfera  che  li  circonda.  La  scena  clou  del  film  è  girata  con  la cinepresa manuale, perché in quel momento i due mondi si uniscono, il deputato entra nel mondo di Cal”.
Jacqueline West  ha  scelto  i  costumi  di STATE OF PLAY  con  la  stessa  attenzione  al  realismo  che caratterizza il film. “Kevin aveva un’idea molto chiara del tipo di atmosfera e di look che voleva per il film”, racconta l’artista. “Siamo stati entrambi ispirati dai film degli anni ’70 e dai loro colori. Kevin ama molto il realismo della ‘strada’”.

Trailer italiano:

Il cast:

Clip dal film:


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