Cinema futuro (907): “Il piccolo Nicolas e i suoi genitori” 01/04/2010
Posted by Antonio Genna in Cinema e TV, Cinema futuro, Interviste, Video e trailer.trackback
“Il piccolo Nicolas e i suoi genitori”
Uscita in Italia: venerdì 2 aprile 2010
Distribuzione: BIM
Titolo originale: “Le petit Nicolas”
Genere: commedia
Regia: Laurent Tirard
Sceneggiatura: Alain Chabat, Laurent Tirard, Grégoire Vigneron (basato sui racconti di René Goscinny e Jean-Jacques Sempé)
Musiche: Klaus Badelt
Uscita in Francia: 30 settembre 2009
Sito web ufficiale (Francia): cliccate qui
Sito web ufficiale (Italia): cliccate qui
Cast: Maxime Godart, Valérie Lemercier, Kad Merad, Charles Vaillant, Damien Ferdel, Vincent Claude, Germain Petit Damico, Benjamin Averty, Victor Carles, Virgile Tirard, Sandrine Kiberlain, Michel Duchaussoy
La trama in breve…
Nicolas conduce una vita sera. Ha due genitori che gli vogliono bene, un gruppo di amici carini con cui si diverte e non ha per niente voglia che qualcosa cambi…
Ma un giorno Nicolas ascolta una conversazione tra i suoi genitori che lo induce a credere che sua madre sia incinta. In preda al panico, immagina il peggio: presto arriverà un fratellino che occuperà così tanto spazio che la sua mamma e il suo papà non si occuperanno più di lui e arriveranno persino ad abbandonarlo nel bosco come Pollicino…
Incontro con LAURENT TIRARD
Sceneggiatore e regista
Come è nato il progetto?
I produttori Marc Missonnier e Olivier Delbosc hanno avuto l’idea di adattare Il Piccolo Nicolas e hanno pensato che io fossi la persona giusta per farlo, quindi mi hanno contattato. Non si tratta di un mio progetto, ma quando me l’hanno proposto mi è sembrato irrinunciabile. Sono cresciuto con Il Piccolo Nicolas, lo leggevo quando ero adolescente. È un’opera che mi corrisponde e mi parla. Ho immediatamente visualizzato come sarebbe stato il film.
Che legame aveva con Il Piccolo Nicolas ?
È un personaggio molto universale in cui ognuno di noi può riconoscersi, mi rimandava alla mia infanzia, anche se io appartengo a una generazione diversa. Mi faceva ridere, ma con una certa nostalgia. Mi piaceva il doppio livello del racconto: un livello per i bambini e un livello per i più grandi. C’è anche una certa dose di poesia. Mi sono ritrovato nella scena in cui Nicolas decide di andarsene di casa di notte con il suo fagotto. Anch’io avevo progettato di farlo, avevo persino percorso qualche metro! In seguito quella scena è diventata un punto di riferimento per me e, quando mi arrabbiavo, minacciavo di partire con la mia valigia e riprendevo il discorso del Piccolo Nicolas: «Un giorno tornerò con un sacco di soldi e ve ne pentirete tutti!». Era un modo per ridere di me stesso ricollegandomi a quel momento dell’infanzia.
Come spiega l’universalità del tandem Goscinny-Sempé?
È difficile spiegare a parole perché un’opera come quella sia così perfetta e come Sempé e Goscinny siano riusciti a toccare fino a questo punto una corda sensibile. È il tipico talento di un artista, che è tale se è in grado di entrare in contatto con qualche elemento dell’inconscio collettivo. Sempé e Goscinny hanno saputo catturare un profumo, una musica, che scappano dalle pagine del libro e toccano il lettore. È il mondo dell’infanzia e ognuno si identifica in questo misto d’ironia e di poesia, è uno sguardo che è al contempo ad altezza di bambino e ad altezza di adulto. Quando Spielberg fa un film con dei bambini, riesce a mettersi alla loro altezza. Ho guardato molto i suoi film per cercare di capire come fa, perché non si tratta solo di mettere fisicamente la macchina da presa ad altezza di bambino, ma anche di raccontare alla loro altezza, pur essendo un adulto e rivolgendosi anche agli adulti.
In fase di preparazione, non è rimasto colpito dalla notevole abbondanza della materia? Come ha proceduto?
Fino a oggi, dal punto di vista artistico, ho dovuto rendere conto solo a me stesso e ai produttori e sono stato libero di fare i film che ho voluto. Per questo film, dovevo dare delle spiegazioni, avevo una responsabilità artistica che non è stata sempre facile da gestire. Fin dalla prima telefonata, ho provato un certo timore nei confronti del soggetto. Ma se hai paura, non ti puoi buttare! Non potevo passare il mio tempo a chiedermi che cosa avrebbero pensato Sempé o Goscinny. Ci vuole l’incoscienza per lanciarsi! E sperare che il risultato piaccia.
Io e Grégoire Vigneron, il mio co-sceneggiatore da sempre, ci siamo immersi nell’opera e anche nella vita di René Goscinny. Dopo aver parlato con Anne Goscinny, mi è venuta voglia di capire cosa c’era di René Goscinny in questo personaggio che era così vicino a lui. Sapevo che la chiave dell’adattamento era sia nella suoi racconti sia nella sua vita. Ho quindi cercato di capire il personaggio René Goscinny. Era un uomo che cercava il suo posto nella società e contava di conquistarselo attraverso il riso. Negli anni in cui faceva il contabile, gli piaceva pensare di essere il granello di sabbia che avrebbe fatto deragliare tutto. Provava un indubbio interesse per il disordine e si era reso conto che la risata poteva essere al tempo stesso una forma di difesa in una società in cui ci si sente fuori posto e un modo per inserirsi in questa società. Sono cose che ho letto tra le righe delle sue biografie e in cui mi sono identificato. Il ragazzino alla ricerca del suo posto nella società è quindi diventato l’asse su cui costruire tutta la storia. Nella prima scena, domandano a Nicolas cosa vuole fare più avanti e lui non lo sa. Alla fine, lo scoprirà. A partire da quest’asse, abbiamo percorso tutta l’opera, l’abbiamo sezionata racconto per racconto, situazione per situazione, battuta per battuta. È la stessa impostazione che avevamo già adottato per Molière, il mio film precedente. Ci siamo resi conto di avere a disposizione materiale sufficiente per realizzare dodici ore di film! Abbiamo quindi dovuto operare delle scelte e non esitare a eliminare determinate situazioni, anche se ci piacevano molto, per mantenere la coerenza della storia che volevamo raccontare. Ne abbiamo comunque mantenute alcune, come la visita del ministro, che non è essenziale alla storia, ma è importante per il personaggio di Clotaire.
Abbiamo lavorato diversi mesi per riuscire a sezionare l’opera e a costruire la storia in modo fluido e coerente, fino alla prima stesura della sceneggiatura. In un secondo momento, è intervenuto Alain Chabat. L’ho coinvolto perché in quel momento avevamo pensato di fare interpretare a lui il ruolo del padre e, psicologicamente, avevamo bisogno della sua benedizione. Per Anne Goscinny, e anche per noi, è forse l’erede spirituale più vicino a René Goscinny. Anne ritiene che Asterix e Obelix: Missione Cleopatra sia realmente nello spirito di suo padre. Avevamo bisogno che Alain leggesse la sceneggiatura, che l’approvasse e mettesse il suo zampino nel dialoghi, nelle situazioni, nelle piccole idee.
Parlavamo poco fa del doppio livello di lettura, uno per i bambini e uno per gli adulti. Come ha trattato questo aspetto?
Mi piace molto il doppio livello di lettura insito nell’opera originale. Nei film hollywoodiani dagli anni ’30 agli anni ’50, per aggirare la censura, gli sceneggiatori non avevano altra scelta che far dire l’essenziale nel sottotesto. A distanza di anni, rivedendo quei film, ci si rende spesso conto del vero significato di battute in apparenza pulite e prevedibili. Adoro questa doppia lettura. La censura ha dato origine a quella scrittura. Con Il Piccolo Nicolas, la situazione è del tutto diversa. I personaggi sono sempre diretti e ordinati, ma percepiamo i loro difetti, le loro frustrazioni, i loro disagi. Quando si racconta una storia del Piccolo Nicolas a un bambino, non percepisce assolutamente tutto quello che può trovarci un adulto. A riprova della ricchezza e dell’intelligenza dell’opera.
Come ha dato vita ai personaggi?
Di solito non scrivo i ruoli per gli attori. Scrivo pensando ai personaggi. In questo caso specifico, la madre di Nicolas ci poneva delle difficoltà per il suo lato un po’ troppo prevedibile. È una madre che vuole bene al proprio figlio, che prepara da mangiare, che rimprovera il marito quando sporca il divano del salotto e che, a volte, fa bruciare l’arrosto e litiga con il marito proprio perché è bruciato l’arrosto! Tanto potevamo rendere il padre più complesso giocando sulla sua ambizione sociale o sul rapporto che ha con il suo capo, quando era difficile sfaccettare il personaggio della madre. Ma dovevamo evitare a tutti i costi che ne venisse fuori una figura scialba. Un giorno ho chiesto a Grégoire di immaginare che fosse interpretata da Valérie Lemercier e questo ci è servito a dar vita al personaggio. Con quel pizzico di follia che la personalità di Valérie le infondeva, abbiamo subito percepito in questo personaggio di madre di famiglia una vera frustrazione. Casalinga negli anni ’50-’60, coltiva anche i suoi sogni: imparare a guidare, acculturarsi, emanciparsi.
Alcuni personaggi non ci sono, altri sono più importanti di quanto non lo siano nei racconti. Come avete operato queste scelte?
Non tutti i personaggi dei racconti potevano comparire nel film e anche in questo caso abbiamo dovuto tagliare, scelta che non è stata sempre facile. La maestra è un personaggio chiave nella serie, perché un numero enorme di scene è ambientato nella scuola e la classe è un luogo molto importante. Dovevamo anche tenere Il Brodo, per via del suo soprannome e perché in una frase si fa un riferimento esplicito a lui. La nonna è un personaggio molto divertente, ma non avevamo abbastanza spazio per farla esistere. In pratica abbiamo conservato i personaggi a cui abbiamo potuto dare vita nel contesto della doppia storia che ci eravamo prefissati: la paura di Nicolas dell’abbandono e la cena con il capo per mostrare l’ambizione sociale dei genitori.
Il Piccolo Nicolas è stato creato negli anni ’50. Come avete sottolineato il lato universale e completamente atemporale della serie?
Datare Il Piccolo Nicolas è impossibile! È stato creato negli anni ’50, ma i bambini lo leggono ancora oggi. Paradossalmente, siamo rimasti colpiti dal fatto che, già negli anni ’50, il mondo descritto ne Il Piccolo Nicolas non esisteva! Oggi, leggendolo, pensiamo «rifletteva quegli anni». Ma se lo leggi con attenzione, ti accorgi che non parla mai di disoccupazione, di criminalità, che i genitori non divorziano, che c’è una stabilità sociale e tutto è in ordine. È una società ideale. Non siamo sul piano della realtà, né di quella degli anni ’50, né di quella di oggi. Siamo sul piano della fiaba. Partendo dal principio che Il Piccolo Nicolas è una fiaba, abbiamo dovuto situarlo nel passato, in un mondo che non esiste.
Per i bambini di oggi, è una fiaba che potrebbe svolgersi nel Medio Evo come nello spazio. Abbiamo quindi avuto una certa libertà nell’ambientazione temporale e l’abbiamo collocato intorno al 1958, data della creazione di Mio Zio di Jacques Tati, uno dei riferimenti del film, e anche data vicina alla creazione del Piccolo Nicolas. Ma non ha importanza se una delle auto che si vedono è del 1961. Quello che conta è il profumo del passato, una realtà nata dall’immaginario collettivo e dall’immagine di una certa Francia del glorioso trentennio dal 1945 al 1975.
Come ha scelto gli interpreti?
Ovviamente la prima sfida è stata la scelta dei bambini. Il Piccolo Nicolas è innanzitutto una storia di bambini. Quindi abbiamo proceduto a una imponente selezione del cast e abbiamo visto un numero enorme di bambini, di cui molti non avevano mai fatto cinema. Per altro, erano i più interessanti e mi sono reso conto che un bambino si «corrompe» molto in fretta, o, quanto meno, capisce molto velocemente le cose. Durante le riprese, era stupefacente vedere che, nel giro di tre giorni, i bambini chiedevano loro stessi un ritocco ai capelli o al trucco! Sapevano perfettamente come intenerire gli adulti e alcuni di loro si presentavano alle audizioni facendo sfoggio di assoluta maestria nell’arte della seduzione e della posa! Da quel momento in poi, ogni freschezza e ogni innocenza erano perdute. In generale, la scelta dei bambini protagonisti non è stata difficile. Ma avevo paura di scoprire se sarebbero stati capaci di recitare davanti a una macchina da presa, visto che avevo scelto «dei volti», delle personalità, scommettendo sul fatto che sarebbero stati realmente a loro agio sul set. Non avevo mai lavorato con dei bambini e per me si trattava di un territorio inesplorato. Alla fine li ho trovati fantastici! Sono dei veri attori.
La somiglianza fisica tra Maxime Godart e Nicolas era sconvolgente. E anche la sua determinazione a fare l’attore! A nove anni, ha una visione molto chiara del posto che vuole avere nella società, di quello che vuole fare nella vita. Pensavo che non avrebbe avuto paura davanti alla macchina da presa, considerando il suo carattere estroverso. E invece è successo il contrario. Il primo giorno, quando l’enorme braccio di una gru si è avvicinato a lui per il primo giro di manovella, era pietrificato!
Più ancora che negli altri bambini, in Maxime, il desiderio e il piacere di recitare erano straordinari. Non ha mai mostrato il minimo segno di fatica, né ha mai manifestato l’esigenza di fare una pausa.
Abbiamo scritto il personaggio della madre per Valérie Lemercier, con l’ansia che potesse rifiutare. Tra l’altro, quando l’ho contattata, aveva appena finito di girare sul lunghissimo set di Agathe Cléry e non aveva molta voglia di iniziare delle nuove riprese. Ho dovuto convincerla e ci sono riuscito spiegandole in tutta sincerità perché la sua partecipazione era per me fondamentale.
Ero rimasto colpito da Kad Merad nel film Je vais bien, ne t’en fais pas dove interpretava alla perfezione un «tipo normale»! Il successo di Giù al nord lo ha confermato: gran parte degli spettatori si erano identificati in lui. Era l’attore giusto per il padre di Nicolas. È un quadro intermedio che va in ufficio tutte le mattine, che ha un po’ paura del suo capo e sogna di avere un aumento. Con Kad, ho parlato a lungo del mio riferimento per il suo personaggio: Jean-Pierre, il marito in Vita da strega. È un uomo un po’ debole, anche ambizioso, ma si fa sempre dominare dalla moglie. Bisognava anche dotarlo di fantasia e di una autentica tenerezza. Lavorando con Grégoire, ci siamo spesso detti che di fatto in casa la madre ha due figli: il Piccolo Nicolas e il marito! Kad era perfetto perché ha ancora molta infanzia dentro di sé.
La maestra è come una seconda mamma per i bambini. Doveva quindi essere molto dolce e io la immaginavo anche molto emotiva. Si fa spesso scavalcare dai bambini, che adora e nei confronti dei quali deve dimostrarsi autorevole, e anche dal direttore della scuola. Sandrine Kiberlain, con i suoi grandi occhi azzurri, esprime questa dolcezza. Ha un talento naturale nel trasmettere le sue emozioni in modo molto sottile, solo con uno sguardo o con un movimento. Era l’attrice di cui avevo bisogno per il genere di commedia che desideravo realizzare.
Ero rimasto molto colpito da François-Xavier Demaison in teatro e avevo voglia di lavorare con lui. Istintivamente sentivo che interpretato da lui Il Brodo avrebbe funzionato bene. Ha lo stesso lato un po’ schietto del personaggio, ma è anche in grado si esercitare l’autorità.
Attori come Daniel Prévost, Michel Galabru, Anémone o Michel Duchaussoy hanno popolato i film che guardavo da bambino e avevo il desiderio di lavorare con loro. Con questi interpreti, al di là del loro talento e di quanto sono in grado di dare, sono tornato bambino.
Un’altra sfida è che è anche un film in costume…
In effetti sì, ma non è il primo per me. Tuttavia l’approccio è diverso da quello che ho adottato per Molière, un film teatrale dove tutti gli attori tendevano a far dimenticare proprio l’aspetto teatrale. Al contrario, nel Piccolo Nicolas tutto doveva concorrere alla dimensione irrealistica del progetto. È un film che confessa apertamente di non essere sul piano della realtà. Siamo in una fiaba. Le scene, le inquadrature, i costumi, il suono raccontano una storia molto costruita. Per questo ho voluto girare in un teatro di posa, avere una casa che avesse il sapore di uno studio cinematografico, fare un film che assomigliasse ai film hollywoodiani degli anni ’50. In Un americano a Parigi, sappiamo che siamo in un teatro di posa a Hollywood e non a Parigi, ma questo fa parte del fascino del film. Se avessi avuto i mezzi, avrei ricostruito tutte le strade in studio. Abbiamo cercato di creare un mondo immaginario, fittizio, totalmente idealizzato, con il profumo del passato, il passato della nostra infanzia.
Come si è avvicinato a un progetto di questo tipo? Come ha definito le sue priorità?
Il Piccolo Nicolas è un progetto dove la forza, la minuzia e la precisione dei disegni di Sempé devono assolutamente essere una fonte di ispirazione per le immagini. Non si trattava di ricalcarle in modo letterale, ma di compiere uno sforzo per realizzare un film curato, stilizzato, elegante, che avrebbe reso lo spirito dei suoi disegni.
Dovevamo anche riprodurre la musicalità della scrittura di Goscinny, la poesia che scaturisce dal modo di parlare di Nicolas, con le sue frasi senza punteggiatura. La scenografia, le inquadrature, i costumi, la messa in scena dovevano quindi essere molto controllati. Essendo ambientato negli anni ’50, il film doveva anche avere il sapore dei film di quell’epoca, che io ho guardato più volte. Ho studiato in modo approfondito i cineasti che sono riusciti a raccontare le storie ad altezza di bambino: Spielberg, ma anche La guerra dei bottoni o I quattrocento colpi. Ma, contrariamente a Truffaut, il nostro intento non era quello di cogliere l’energia vitale dei bambini. Avevo un’idea molto precisa della recitazione, coerente con il film. Ci volevano delle battute molto sensate e molto dinamiche. Non essendo sul piano della realtà, i dialoghi sono molto scritti e il modo di recitarli è molto lavorato. Un lavoro che non doveva sentirsi e che quindi, per quanto riguarda i bambini, necessitava di diverse prove di dizione, articolazione e ritmo. Non contavo tanto sulla loro spontaneità, quanto sulla loro freschezza. Anche se non abbiamo fatto uno storyboard, perché secondo me fissa troppo le cose, abbiamo discusso prima di ogni inquadratura e di ogni campo. È un lavoro molto più minuzioso del solito, che deve tuttavia lasciar filtrare la vita. Deve essere sobrio e rigoroso, pur lasciando una porta aperta.
Come ha creato l’universo visivo del film?
Alcune scenografie erano ovvie, come la scuola, l’aula, il cortile e l’interno della casa. Sapevamo che una parte importante dello spirito del film sarebbe scaturita da questi ambienti. Non si trattava di riprodurre i disegni di Sempé, ma di andare incontro allo spirito dei racconti. Una trasposizione letterale ci sarebbe costata la nostra anima. Era necessario avere una scenografia minimalista, pur mantenendo i dettagli: lo spettatore doveva poter sentire che ogni cosa era al suo posto, ma non essere distratto da qualcosa di diverso da quello che noi volevamo mostrargli. Anche in questo caso, mi sono molto ispirato a Jacques Tati, che ha il senso del dettaglio, ma mostra solo il dettaglio necessario a fare esistere la scena.
Mi piace anche la regia di Wes Anderson, con le sue inquadrature molto fisse, che tuttavia raccontano tutto. Per me era importante far vivere la storia nella composizione dell’immagine e nella scenografia. Stranamente, le ambientazioni del film mi fanno più che altro pensare ad alcune foto che i miei genitori mi hanno mostrato della loro infanzia o a un periodo che io non ho mai realmente vissuto.
La presenza di tanti bambini sul set ha complicato le riprese?
La prima scena è quella della foto di classe: gli adulti sono completamente scavalcati e calpestati dai bambini che sostengono di riuscire a controllare. Sul set è successa esattamente la stessa cosa: i bambini ci hanno tirato pazzi!
Ogni giorno, al mattino tutto cominciava bene, poi, man mano che le ore passavano, la situazione degenerava! Ci mettevamo le mani nei capelli per cercare di mantenere un clima serio, ma era del tutto inutile! La sera, tornavamo a casa esausti, ma ogni mattina eravamo comunque molto felici di rivederli. Fa parte della natura dei bambini. Quando qualcuno mi chiede com’è lavorare con dei bambini, otto nel caso specifico, rispondo che basta immaginare di essere un padre single che deve gestire otto figli il giorno della partenza per le vacanze! Ma sono stati fantastici e questo paragone con il padre single non è casuale: sul set erano tutti figli miei e li adoro!
Come sono stati i rapporti tra gli attori giovani e gli attori adulti?
È andato tutto molto bene, sia per gli uni che per gli altri. All’inizio, ovviamente, i bambini erano un po’ in soggezione, ma hanno perso in fretta ogni inibizione. Dal canto loro, gli adulti si sono ben presto resi conto che i bambini interpretavano molto bene i loro ruoli. In generale, la direzione degli attori è stata omogenea e parlavo con i bambini allo stesso modo che con gli adulti. Non era la situazione in cui un bambino arriva sul set e il regista cerca di preservare la sua spontaneità, nascondendogli la macchina da presa. Noi avevamo a che fare con dei giovani attori mescolati in un gruppo.
Ci sono state delle scene che vi hanno dato un’emozione particolare?
In questo film, molto più che nei miei due film precedenti, sono rimasto colpito nel vedere che alcune scene corrispondevano esattamente a come io le avevo immaginate. Lavorando a questo film, sono rimasto molto sorpreso nel trovarmi davanti le immagini precise che avevo in mente scrivendo la sceneggiatura. È stata una sensazione piuttosto strana.
Il legame del film con l’infanzia crea in lei un affetto particolare?
Durante le riprese, sono immerso nella sequenza. So qual è il suo significato, come si iscrive nel film e il mio approccio è tecnico. Ma, mentre la mia parte cosciente è impegnata a gestire gli aspetti tecnici della scena, il mio inconscio lavora a pieno ritmo! Come per i miei due film precedenti, quando oggi vedo il film terminato, resto stupefatto nel trovarvi la mia impronta ovunque, molto più di quanto pensassi. Sono partito volendo adattare Il Piccolo Nicolas e il risultato finale è indubbiamente Il Piccolo Nicolas, è indubbiamente René Goscinny, ma in modo curioso riflette anche me stesso!
Questo film le ha insegnato qualcosa di se stesso in quanto regista?
Il film mi ha dato l’opportunità di constatare che so lavorare con i bambini, che ne sono capace, o quanto meno che riesco a sopravvivere e che mi dà un autentico piacere. Con loro non ho mai avuto problemi di giochi di forza o di potere. Se un bambino non riesce a interpretare una scena, non è perché si fa delle domande sulle motivazioni del personaggio o perché mette in discussione l’autorità del regista. È perché non ci arriva e bisogna trovare un trucco, un’astuzia per sbloccarlo. Se perde la concentrazione, è perché è un bambino e non si può pretendere che resti concentrato per sei ore di fila.
Ha una scena preferita, che la tocca in modo particolare?
Curiosamene c’è una scena che mi piace molto, fin da quando l’ho scritta. Mi piace perché è senza dialoghi. Si ispira a una minuscola frase nel Piccolo Nicolas, dove Nicolas dice che è triste, che suo padre ha storto il naso e lui non ha potuto continuare a tenere il broncio. Me la sono subito segnata, dicendomi che doveva diventare il punto centrale di una scena importante per il film e per me. Probabilmente perché scrivo molti dialoghi, quando mi capita di scrivere una scena senza dialoghi, provo un senso di realizzazione. Non so spiegare perché, ma quella scena mi tocca profondamente. Senza dubbio trova un eco nella mia infanzia, nei miei rapporti con mio padre e, probabilmente, anche con mio figlio.
Cosa la soddisfa di più di questa esperienza?
Ha molti aspetti positivi. A titolo personale, ho l’impressione che mi diventi sempre più facile raccontare. Non so se dipenda dal fatto che capisco meglio quello che voglio o dal fatto che faccio sempre meno fatica a ottenerlo, ma mi sento più sereno. Ho l’impressione che ci sia più sintonia tra quello che sento e quello che faccio. Mi pongo meno domande, ho meno ansie. Con questo non voglio dire che i due film precedenti siano stati una sofferenza, ma ho la sensazione di riuscire a semplificare, nel senso positivo del termine. Per esempio, ho meno bisogno di fare delle riprese per rassicurarmi. Tendo a essere più naturale.
Cosa pensa di offrire al pubblico con il suo film?
Un ritorno all’infanzia, spero, una boccata d’infanzia. A prescindere dal periodo in cui è cresciuto, spero che ognuno avrà la sensazione di rituffarsi nella sua infanzia e di ritrovarvi l’innocenza, l’ingenuità e l’entusiasmo. Il film permetterà anche a persone di generazioni diverse di confrontarsi sulla propria infanzia. Un nonno potrà andare a vedere il film con il suo nipotino e provare le sue stesse emozioni!
Incontro con
JEAN-JACQUES SEMPE
Creatore e disegnatore del «Piccolo Nicolas»
Come le è venuta l’idea del personaggio del Piccolo Nicolas e come ne ha parlato a Goscinny ?
Un settimanale belga, Le Moustique, che credo esista ancora, mi aveva commissionato una vignetta umoristica per ciascuno dei suoi numeri. Un giorno mi chiesero di dare un nome al bambino che disegnavo. Mentre stavo andando in autobus a un appuntamento con il direttore della rivista, vidi una pubblicità dei vini Nicolas e decisi di chiamare il mio personaggio Nicolas. Il direttore mi diede il suo accordo e mi domandò di fare non più una vignetta alla settimana, ma una fumetto, cosa che non ero assolutamente capace di fare! Poiché conoscevo René Goscinny, che lavorava per l’agenzia di stampa a cui io portavo i miei disegni, gli chiesi di fare quel lavoro con me. Continuammo così per qualche tempo. Poi René lasciò l’agenzia e abbandonammo entrambi il progetto. In seguito lo riprendemmo con l’idea che lui scrivesse i racconti e io li illustrassi.
Cosa le ha ispirato questo piccolo personaggio? Da dove è venuto quel tratto così particolare, così caratteristico?
È venuto in modo molto naturale, è la mia mano che disegna un bambino. Il suo carattere è già un po’ definito dal tratto ed è per questa ragione che ne facevo una vignetta umoristica. A quell’epoca i bambini erano il mio soggetto preferito. Ma nella vita non ci sono solo i bambini, ci sono anche gli adulti ed è a loro che mi sono rivolto negli ultimi vent’anni.
Come gli ha dato vita e lo ha fatto crescere?
Quando René e io ci siamo conosciuti, eravamo entrambi abbastanza giovani. Io avevo circa ventidue anni e lui ventotto. Ci siamo raccontati i nostri ricordi d’infanzia come fanno tutte le persone che si incontrano. Ovviamente alcune situazioni sono in parte ispirate al mio vissuto, più a livello di atmosfera che di eventi particolari. René e io ne parlavamo molto. Io avevo voglia di raccontare le avventure di un gruppo di bambini chiassosi a scuola.
Il Piccolo Nicolas rappresenta un filo rosso nella sua carriera?
Stranamente, ritorna a intervalli regolari. Per forza di cose e dal momento che ho iniziato a lavorare presto, è il personaggio che ho disegnato di più. Con il passare del tempo, i disegni e i libri si sono accumulati. Non ho la minima idea di quante situazioni ho creato per lui. Per ogni disegno che viene scelto e pubblicato, ce ne sono molti altri che vengono purtroppo scartati e distrutti. Quando sbagli, sbagli! Questo non significa che quando un disegno viene pubblicato è riuscito, ma solo che il disegno scartato è peggiore!
Tra lei e Goscinny c’era uno scambio. Le indicava le situazioni da disegnare, o, al contrario, era lei a suggerirgli le situazioni da narrare con i suoi disegni?
A parte il calcio e forse la scuola, faceva tutto René! Ho lavorato con altri autori, ma la mia collaborazione più lunga è stata quella con lui. È durata una trentina d’anni, ma non ho mai calcato di preciso. Eravamo molto amici e avevamo esordito insieme.
Quando le hanno proposto di fare un film tratto dalla serie, qual è stata la sua reazione?
Io utilizzo sempre un tratto estremamente preciso, ma nel cinema il tratto non esiste. Per questo mi è sembrato meglio che fosse una storia con personaggi in carne ed ossa e non un adattamento dei disegni, a mio giudizio impossibile. Ed è anche per questo che ho lasciato carta bianca al regista e a tutti colori che hanno collaborato alla realizzazione. È un’opera che appartiene a loro, non a me. Si tratta di un lavoro molto diverso. Mi ha divertito vedere l’universo dei miei fumetti trasposto nella realtà e sono stato felice di scoprire il film. Vi ho ritrovato lo sguardo di un bambino sul mondo degli adulti. Il film è stato realizzato a partire dal testo e dai miei disegni, ma per me è un’opera a parte, che ha una sua vita, e non cerco di fare paragoni. Mi ha fatto piacere vedere il film e, tra l’altro, è stata la prima volta in cui sono stato interamente spettatore del Piccolo Nicolas. Sono stato contento di fare questa scoperta e tentare un confronto con il libro è inutile.
Come ha reagito vedendo l’interprete del Piccolo Nicolas?
Prima di vedere il film, avevo visto solo delle fotografie di questo straordinario bambino. Mi ha molto colpito, è perfetto! Ha la stessa effervescenza. È adorabile e incarna splendidamente il Piccolo Nicolas.
Cosa rappresenta per lei questo film?
René e io non avremmo mai immaginato che Il Piccolo Nicolas sarebbe diventato quello che è oggi. Quest’anno festeggiamo il cinquantennio con tantissime iniziative. Questo film è un po’ la candela più bella sulla torta di compleanno! Personalmente, provo anche un po’ di nostalgia perché rimpiango i tempi in cui René e io lavoravamo insieme.
Dal punto di vista cinematografico, credo che questo film rappresenti un momento perfetto, fuori dal tempo, fuori da tutto, rispetto alle tante cose che nella vita ci opprimono e ci schiacciano.
Lei è un nostalgico?
Quando hai perso tanti amici e parenti e hai vissuto dei momenti che non torneranno più, come fai a non esserlo? La nostalgia è parte integrante della vita. Nicolas, che permette a ognuno di noi di rivivere molti momenti dell’infanzia, è un antidoto a questa nostalgia.
Come spiega il fatto che Il Piccolo Nicolas sia così conosciuto nel mondo, che sia così universale sul piano sociale e così radicato nella sfera affettiva di tante persone di tutte le età?
René Goscinny e io non avevamo previsto nulla di simile. Ci frequentavamo spesso e ci conoscevamo bene. Lui scriveva i testi e io li illustravo. Non mi è mai venuto in mente di chiedermi perché avesse descritto una determinata situazione e sono certo che neanche lui lo ha mai fatto con me. La nostra interazione avveniva in funzione delle nostre personalità, ma prima di ogni altra cosa, eravamo amici. Pensavamo più al nostro rapporto di amicizia che all’impatto del nostro lavoro. Quando l’abbiamo creato e sviluppato, eravamo giovani, ma si può essere nostalgici anche da giovani. Le persone che amano profondamente la vita, provano sempre un sentimento di nostalgia, anche solo per il minuto che è appena trascorso. Fin da giovane, mi piacevano già le cose che erano desuete o che non erano più come quando erano state create. I bambini di oggi si riconoscono nel Piccolo Nicolas. Anche se non hai conosciuto un certo contesto, puoi lo stesso identificarti in esso. È una cosa che mi ha sempre stupito!
Quale pensa sarà il futuro del Piccolo Nicolas?
Non riesco a immaginare il futuro del Piccolo Nicolas, ma so che, tra tantissimi anni, la gente lo comprerà ancora. I bambini continueranno ad andare a scuola. Ha in sé una componente dell’infanzia che a mio giudizio è eterna, o, quanto meno, non è passeggera, non è «di moda». Ricordo una riflessione di un’amica che un giorno mi ha detto che non capiva il motivo del successo del Piccolo Nicolas. Era già fuori moda quando l’abbiamo creato ed è probabilmente questo che gli ha permesso di durare così a lungo!
Tra tutti le illustrazioni, tra tutte le storie del Piccolo Nicolas, ce n’è una che preferisce? O magari un periodo, una situazione?
La storia che preferisco è quella della banda di piccoli amici sempre insieme, che bisticciano, si rappacificano e ricominciano a darsele di santa ragione, senza mai farsi del male. Si prendono dei cazzotti in piena faccia, ma non soffrono. Avendone presi anch’io, vi garantisco che i cazzotti fanno male! È un’infanzia sognata.
All’interno di questa banda, lei chi sarebbe stato?
All’interno della banda, René Goscinny e io saremmo stati il Piccolo Nicolas! Ogni persona a cui si racconta la storia del Piccolo Nicolas s’identifica in lui.
Incontro con
ANNE GOSCINNY
Come è nato il progetto dell’adattamento?
Fin dalla loro prima pubblicazione, i libri hanno riscosso elogi e consensi e sono stati un successo editoriale. Hanno avuto una vita intensa, sono stati consigliati nelle scuole e hanno goduto di una vera fama intellettuale. Poi, nel 2004, sono state vendute seicentomila copie del primo volume degli inediti, che contava ottanta storie. Pubblicare quel libro voluminoso destinato ai bambini è stata una specie di scommessa. E i giovani lettori si sono probabilmente sentiti valorizzati dal fatto di tenere nelle loro manine un grosso libro che per loro era perfettamente accessibile, pur divertendo anche i loro genitori.
A quel punto i più grandi produttori hanno iniziato a interessarsi a quello strano personaggio diventato un vero e proprio fenomeno editoriale. All’epoca avevo molta paura che volessero cavalcare l’onda del successo di Les choristes – I ragazzi del coro. Non volevo che il desiderio di adattare Il Piccolo Nicolas per il cinema fosse motivato da altro che la qualità dell’opera stessa. Ho aspettato che mi proponessero una storia con un intreccio centrale. Infatti, Il Piccolo Nicolas è una raccolta di racconti brevi e fare un adattamento accostandoli uno all’altro avrebbe prodotto un patchwork senza interesse cinematografico. Poi ho conosciuto Marc Missonnier e Olivier Delbosc, che mi hanno presentato Laurent Tirard e Grégoire Vigneron. E loro mi hanno raccontato uno storia. Sono stata conquistata dal loro modo di raccontarla, quasi interpretandola. Ne ho parlato con Sempé che ha trovato buona l’idea e la macchina si è messa in marcia!
Come spiega l’affetto particolare che la gente nutre per Il Piccolo Nicolas?
Sono possibili molte spiegazioni, più o meno semplici, più o meno scontate. Il mondo del Piccolo Nicolas, benché racchiuso su se tesso, non è sclerotizzante o angosciante. Non c’è quasi alcuna intrusione da parte della televisione o della radio e praticamente non esiste il telefono. È un mondo che basta a se stesso. I personaggi vivono nell’autarchia affettiva e sociale! Si passa dalla casa alla scuola, dalla scuola al campetto, dal campetto alla casa. I rapporti che i personaggi intrattengono tra loro sono molto rassicuranti. Per esempio, quando i genitori litigano, non finiscono col divorziare. Basterà una torta di mele a suggellare la riconciliazione. Il bambino, che sia lettore, spettatore o persino personaggio, non ha alcun motivo di angosciarsi.
L’altra spiegazione, forse più letteraria, sta nel vocabolario e nel linguaggio. Nel Piccolo Nicolas, il linguaggio è quasi un personaggio a pieno titolo. Ha un ruolo principale. Peraltro questo fatto rendeva l’adattamento particolarmente difficile. Il linguaggio non è mai volgare. Certo, il lessicoo è un po’ fuori moda e desueto; per esempio, i bambini di oggi non dicono più «graziosa»! Ma in fondo questo dimostra che le avventure di Nicolas, l’interesse che provano per esse i lettori giovani e meno giovani e l’umorismo prevalgono sulle tendenze lessicali.
Le parole lasciano spazio all’immaginazione del lettore e il tratto di Sempé è tanto preciso quanto minimalista. Nel cinema, lo schermo mostra tutto. Ha avuto paura che il film tradisse i racconti?
In effetti, il tratto di Sempé è minimalista e consente all’immaginazione di chi gira le pagine di espandersi. Ma guardando i disegni da vicino e osservando i bambini, ci rendiamo conto che è impossibile dissociare il Piccolo Nicolas dagli altri. E scopriamo che il Piccolo Nicolas e i suoi amici possono essere letti e recepiti come un solo identico bambino. Gli unici personaggi che riusciamo a distinguere sono Alceste perché è cicciotello e Agnan perché porta gli occhiali. Sul grande schermo, la sfida è stata quindi differenziare i bambini. Come estrarli da quel disegno, al tempo stesso poetico e spazioso, per trasformarli in personaggi singoli? Per me, era difficile da immaginare. Se è vero che Il Piccolo Nicolas non è ansiogeno, condividerne la responsabilità è molto angosciante!
Un giorno, Laurent Tirard mi ha invitata ad assistere alla prima riunione di tutti i bambini selezionati. Ci sono andata molto rilassata, con le mani in tasca. Quando ho aperto la porta di quello studio nel 17° arrondissement, ho scoperto tutti i bambini, con le loro polacchine e i loro grembiuli da scolari. E sono rimasta davvero scioccata: sembravano essere letteralmente usciti dai racconti. Ancora oggi, sento quell’emozione, un’emozione mista a tristezza: in quel momento avrei tanto desiderato che ci fosse lì mio padre, in mezzo ai suoi personaggi divenuti reali.
Per me, il bambino che interpreta Nicolas è perfetto perché è in qualche modo l’essenza del bambino piccolo. È al tempo stesso luminoso e bello, ha un corpo abbastanza tradizionale e classico, a cui nessuno farebbe particolarmente caso per la strada. In questo è la sua riuscita, perché non bisogna voltarsi a guardare il Piccolo Nicolas, anzi, ci si deve potere identificare in lui senza sforzo. Il Piccolo Nicolas è Laurent Tirard, è Olivier Delbosc, è Simon, è mio padre, siete voi…
Aveva delle aspettative per alcune scene e delle paure per altre?
Ho dovuto contenere la mia voglia di andare immediatamente sul set. La mia posizione di avente diritto implica uno sguardo esigente che può essere percepito come pesante e non volevo essere troppo presente. Non volevo certo aggiungere altre pressioni alle tensioni che già regnano su un set cinematografico. Ma i miei figli hanno fatto entrambi le comparse. Salomé, che ha sei anni, ha partecipato alla sequenza del compleanno di Marie-Edwige. Simon, che ha otto anni, è nella scena della visita medica. Il giorno in cui ho accompagnato Salomé, ho pranzato con gli attori. Durante il pranzo, ho pensato che Kad Merad mi avrebbe preso per pazza perché ho continuato a fissarlo senza riuscire a distogliere lo sguardo da sul volto. Poiché interpreta il padre del Piccolo Nicolas e poiché credo che nel Piccolo Nicolas mio padre abbia inserito molti suoi ricordi d’infanzia, per me lui era diventato mio nonno! Ed era lì, bonario, gentile, spiritoso, felice. Una sensazione surreale! Non posso parlare di incontro, perché dubito che lui si ricordi di me, ma io ricordo di aver cercato sul suo volto i tratti di un uomo che si chiamava Stanislas Goscinny e che io non ho conosciuto perché è morto nel 1942.
È stato commovente vedere i miei figli partecipare, anche se in modo molto furtivo, a questo film che è, a mio giudizio, una delle opere più importanti del loro nonno.
Cos’ha pensato della scelta degli attori che interpretano gli adulti?
Per me, i ruoli più importanti erano quelli dei genitori e della maestra. Non avrei necessariamente pensato Kad Merad e Valérie Lemercier per interpretare i genitori, ma quando li ho visti insieme, li ho trovati perfetti. C’è una coerenza, un’alchimia anche rispetto ai racconti, una coincidenza tra l’idea che ci siamo fatti dei personaggi di carta e quello che vediamo sul grande schermo. Per quanto riguarda Sandrine Kiberlain, avrebbe potuto ispirare mio padre e Sempé! È la maestra. Adesso, quando rileggo Il Piccolo Nicolas, immagino la maestra con il volto di Sandrine Kiberlain. È incredibile.
Il Brodo, il direttore e il ministro, interpretato da un meraviglioso Galabru, sono straordinari. Magistralmente diretti, li trovo tutti molto giusti. Anémone ha una sola scena. Era da tempo che non la vedevamo al cinema ed è fantastica! Per me, Daniel Prévost è uno dei più grandi attori del nostro panorama cinematografico e in questo film è, come sempre, eccezionale. Non conoscevo François Damiens, che interpreta Blédurt, ma anche lui è molto giusto. Insomma, sono entusiasta!
È intervenuta sulla sceneggiatura?
Sì, certo! Mi sono impegnata enormemente. La mia passione per quest’opera mi ha imposto il dovere di fare in modo che questo adattamento fosse il più possibile riuscito e questa era anche la mia funzione. Non avevo il diritto di permettere che ci fosse qualcosa che a mio giudizio fosse sconveniente. Inoltre, ho avuto l’enorme fortuna di avere davanti Laurent Tirard e Grégoire Vigneron, che mi hanno sempre dato ascolto, che sono sempre stati disponibili al dialogo e con cui è stato un piacere lavorare. Ho anche avuto il grande piacere di confrontarmi con Alain Chabat quando è intervenuto.
Che sentimenti prova verso quest’opera con cui è cresciuta? Cosa rappresenta per lei?
Per ognuna delle opere di mio padre, Asterix, Lucky Luke, Iznogoud e Il Piccolo Nicolas, provo una tenerezza diversa, ma equivalente. Chiedermi di dire qual è la mia preferita è come chiedermi di scegliere tra mio figlio e mia figlia! Quando si realizza un adattamento di Asterix, mi fa piacere. Ma Il Piccolo Nicolas occupa una posizione particolare nella mia vita per due motivi. Innanzitutto, non tutti siamo stati galli o cowboy o visir, ma tutti siamo stati bambini. Questa constatazione, al tempo stesso scontata e insolita, mi spinge a pensare che probabilmente in questo personaggio c’è molto di mio padre. È morto quando io avevo nove anni e quindi non ha avuto il tempo di raccontarmi la sua infanzia. Per me, Il Piccolo Nicolas è l’unica porta, l’unica via d’accesso verso quell’infanzia. Probabilmente è anche, o soprattutto, per questa chiave di lettura che sono così affezionata e attenta a questo testo. Inoltre, sulla tomba di mio padre, mia madre ha voluto che fosse inciso «Scrittore». Ed è proprio con Il Piccolo Nicolas che mio padre ha dato prova del suo grande talento di scrittore. Quindi Il Piccolo Nicolas sintetizza contemporaneamente la vocazione intima e profonda di mio padre e i suoi ricordi d’infanzia.
Cosa pensa del modo in cui sono stati adattati gli ambienti?
Trovo che la scelta che è stata compiuta di immaginare una scenografia «alla Jacques Tati», con quei colori un po’ acidulati, per contrasto, metta intelligentemente in rilievo l’atemporalità dell’opera. Di fatto il testo è in sé datato: oggi non esistono più né calamai, né terreni incolti per giocare. Eppure i valori che veicola sono sempre attuali e possiamo ragionevolmente immaginare che l’attualità durerà! Per un bambino, l’importanza dei genitori, della scuola e dei compagni di classe non tramonta!
Quando entro nel cortile della scuola comunale, laica e repubblicana che frequenta mio figlio, ho l’impressione di essere proiettata in un racconto del Piccolo Nicolas! I bambini adorano la maestra e rispettano il direttore. A casa succede la stessa cosa. I rapporti degli uni e degli altri si potrebbero quasi trasporre dal testo alla realtà. La mamma innamorata del figlio e quindi molto indulgente, il papà che torna a casa esausto dall’ufficio e vuole solo leggere il giornale, la suocera che piomba in casa e rimette in discussione la posizione e l’autorità del padre, il vicino invadente…
Ha scoperto il film a pezzettini o ha aspettato di vederlo quando è stato ultimato il montaggio?
Marc e Olivier mi hanno via via mostrato i giornalieri, ma questo non ha alterato l’incredibile emozione che ho provato alla prima proiezione in una sala. A quella proiezione avevo portato i miei figli e credo di averli guardati con la stessa frequenza con cui guardavo lo schermo! Il film mantiene le promesse della sceneggiatura e del cast e si dimostra perfettamente all’altezza dell’opera originale.
Come definirebbe il cinema di Laurent Tirard?
Penso che Laurent Tirard sia un grande cineasta. È sicuramente uno dei registi più dotati della nostra generazione. Fa un cinema molto preciso e al tempo stesso rispettoso dell’immaginario dello spettatore. Molto prima di conoscerlo, ero andata a vedere Mensonges et trahisons. Ero uscita dalla sala completamente innamorata di Edouard Baer, chiedendomi chi fosse quel regista così capace di navigare tra surrealismo, ironia e emozione, sempre con misura. Quando è uscito Molière, avevamo già firmato i contratti che legavano Il Piccolo Nicolas a Laurent Tirard. Evidentemente avevo molta voglia di essere sedotta e lo sono stata! Grégoire Vigneron ha la sua parte di responsabilità nella riuscita dei film che realizza Laurent. Ha un grande talento e maneggia con una destrezza non comune umorismo, sensibilità e fascino.
Ha un’idea di cosa penserebbe suo padre del film?
Mio padre è morto da ormai trentun anni e non pensa più. E neanch’io penso al suo posto. Penso per me stessa e non cerco neanche di affrancarmi dal fatto di essere la figlia di un uomo di una tale levatura. Devo piano piano domare il Commendatore, andare verso la sua opera, girarvi attorno senza bruciarmi, imparare a vivere con l’assenza. Spetta a me seguire il mio percorso e imparare a vivere non con l’ombra che mi renderebbe il nume di mio padre, ma, al contrario, con la luce del suo umorismo che risplende ancora oggi, come dimostra questo nuovo adattamento di una delle sue opere.
Dopo la sua improvvisa scomparsa, mia madre mi disse che era meglio avere avuto come padre un genio per nove anni che un cretino per trent’anni. Al momento pensai che avrei preferito che fosse un po’ più cretino e un po’ meno morto. Oggi, mi dico che sono fortunata a poter continuare a ridere grazie a lui, trentuno anni dopo la sua morte. Mi basta rileggere Asterix, Il Piccolo Nicolas o Lucky Luke per sbellicarmi dalle risa o semplicemente sorridere. A volte rido fino alle lacrime, senza sapere se le lacrime precedono la risata o se è la risata a richiamare le lacrime.
Secondo lei cosa può dare al pubblico questo film?
In quanto appassionata di letteratura, penso che questo film possa facilitare l’accesso all’opera editoriale del Piccolo Nicolas. Ci sono molti esempi di bambini, e anche di adulti, che si sono avvicinati a un libro dopo aver visto il film da cui era stato tratto.
Sono molto felice di questa avventura, sono molto felice che Il Piccolo Nicolas abbia avuto la fortuna di incontrare Laurent Tirard e Grégoire Vigneron, e, ovviamente, Marc Missonnier e Olivier Delbosc.
La nascita del Piccolo Nicolas
Il Piccolo Nicolas nasce nel 1959. Muove i primi passi in Sud-Ouest Dimanche e nei primi numeri di Pilote. È circondato da una banda di amici: Alceste, il ciccione che mangia in continuazione, Geoffroy che ha un padre che gli compra tutto quello che vuole, Agnan, sicuro che nessuno oserà mai picchiarlo perché porta gli occhiali, Marie-Edwige, l’unica bambina, etc. Nel suo universo ci sono anche gli adulti: i suoi genitori, la sua maestra «che è graziosa», il Brodo, il simpatico sorvegliante e altri ancora. Un po’ maldestro, un po’ chiassoso, ma con un cuore grande, nel film Nicolas spiega perché non sa ancora cosa farà più avanti: «perché la mia vita è bella».
Nel 2009, festeggiamo il cinquantesimo anniversario della sua creazione, ma lui resta lo stesso bambino un po’ turbolento che si fa voler bene.
Biografia di JEAN-JACQUES SEMPÉ
«Quando ero bambino, la cagnara era la mia unica distrazione».
Sempé nasce il 17 agosto 1932 a Bordeaux. Studente tutt’altro che modello, espulso per indisciplina dal Collegio moderno di Bordeaux, si lancia nella vita lavorativa: tuttofare da un sensale di vini, animatore nelle colonie estive, fattorino d’ufficio… A diciotto anni, anticipa la chiamata alla leva e va a Parigi. Setaccia le redazioni e nel 1951 vende a Sud-Ouest la sua prima vignetta. Il suo incontro con Goscinny coincide con gli esordi di una folgorante carriera come «disegnatore per la stampa». Con Il Piccolo Nicolas, realizza un’indimenticabile galleria di ritratti di bambini e adulti che fanno parte della nostra storia, collettiva e individuale. Pur continuando a illustrare le avventure del piccolo scolaro, nel 1956 debutta su Paris Match e inizia a collaborare con numerose riviste. Il suo primo album di disegni, Rien n’est simple, viene pubblicato nel 1962. Ne seguiranno una trentina (pubblicati da Denoël e Gallimard), capolavori di umorismo che parlano di noi e del mondo con tenerezza e ironia. Creatore di Marcellin Caillou, di Raoul Taburin e anche di Monsieur Lambert, grazie al suo talento di osservatore, è considerato da quarant’anni uno dei più grandi disegnatori francesi. Oltre ai suoi album, ha illustrato Catherine Certitude di Patrick Modiano e L’histoire de Monsieur Sommer di Patrick Süskind. Sempé è uno dei rari disegnatori francesi che illustrano le copertine del prestigiosissimo New Yorker e, oggi, fa sorridere migliaia di lettori ogni settimana su Paris Match.
Biografia di RENÉ GOSCINNY
«Sono nato il 14 agosto 1926 a Parigi e mi sono messo a crescere subito dopo. Il giorno dopo era il 15 agosto e non siamo usciti».
La famiglia Goscinny emigra in Argentina. Il giovane René frequenterà tutte le scuole dell’obbligo al Collège Français di Buenos Aires. «In classe, ero un vero pagliaccio. Ma poiché ero un allievo piuttosto bravo, non mi espellevano». Ma è a New York che esordisce la sua carriera. Rientrato in Francia agli inizi degli anni ’50, crea tutta una serie di eroi di cui la maggior parte diventeranno delle vere icone. Con Jean-Jacques Sempé, Goscinny immagina le avventure del Piccolo Nicolas. Poi, con Albert Uderzo, crea Asterix. Il successo del piccolo gallo sarà fenomenale. Tradotte in 130 langue e dialetti, le avventure di Asterix fanno parte dei racconti più letti al mondo. Autore prolifico, realizza contemporaneamente Lucky Luke con Morris, Iznogoud con Tabary, les Dingodossiers con Gotlib…
Alla direzione del giornale Pilote, rivoluziona il fumetto erigendolo al rango di «Nona Arte». Il 5 novembre 1977, René Goscinny muore all’età di 51 anni. Hergé dichiara: «Tintin si inchina davanti ad Asterix». I suoi eroi sono sopravvissuti a lui e molte delle sue espressioni sono entrate nel nostro linguaggio quotidiano: «sparare più in fretta della propria ombra», «essere califfo al posto del califfo», «esserci caduto dentro da piccolo», «trovare la pozione magica», «sono pazzi questi romani», etc. Ma è con Il Piccolo Nicolas che Goscinny dà tutta la misura del suo talento di scrittore. Forse è per questo che dirà, «provo una tenerezza molto particolare per questo personaggio.»
Trailer italiano:
“Dal libro al film”
“Quando il capo viene a cena…”
“Un buffo papà”
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