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Cinema futuro (520): “Baby Love” 12/12/2008

Posted by Antonio Genna in Cinema e TV, Cinema futuro, Interviste, Video e trailer.
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Cinema futuro - Il cinema del prossimo week-end“Baby Love”

Uscita in Italia: 19 dicembre 2008
Distribuzione: Archibald Film

babyloveTitolo originale: “Comme les autres”
Genere: commedia
Regia: Vincent Garenq
Sceneggiatura: Vincent Garenq
Musiche: Loïc Dury e Laurent Levesque
Uscita in Francia: 3 settembre 2008
Sito web ufficiale (Francia): cliccate qui
Cast: Lambert Wilson, Pilar López De Ayala, Pascal Elbé, Anne Brochet, Andrée Damant, Florence Darel, Marc Duret

La trama in breve…
Erano la coppia perfetta… diciamo quasi perfetta…
Emmanuel voleva un figlio, ma non Philippe.
Un giorno, però, Emmanuel decide di fare il grande passo, a rischio di perdere Philippe.
Ma come si fa a fare un bambino se entrambi sono gay?
Basta innamorarsi della bella Fina… e farla innamorare…

INTERVISTA CON VINCENT GARENQ

Come è nato Baby Love ?
Dieci anni fa seppi che Manu, il mio migliore amico gay del liceo – e di cui ho dato il nome al personaggio interpretato da Lambert Wilson – era partito per conoscersi meglio per un weekend, con il suo compagno e una coppia di lesbiche, per poi forse concepire e crescere un bambino insieme!
Mi ricordo di essere rimasto molto sorpreso e divertito dalla situazione, così ho pensato che forse avevo per le mani il soggetto per un film. Ho quindi chiamato subito Manu per farmi raccontare tutti i particolari, e mi ha parlato dell’APGL (l’associazione genitori gay e lesbiche). All’epoca, si iniziava appena a parlare di omosessuali che volevano essere genitori, era molto prima della grande onda mediatica degli ultimi anni. Tramite questa associazione, ho incontrato delle famiglie, ascoltato delle storie, spesso molto intense e toccanti, e mi è venuta voglia di girare un documentario.
Mi ricordo che c’era solo un tipo di famiglia che mi aveva bloccato, era il caso di due uomini gay che negli Stati Uniti si erano  rivolti a una donna per avere l’utero in prestito, e ho rifiutato completamente l’idea. Poi, come spesso succede nella vita di un regista, ho inviato questo progetto di documentario ovunque e nessuno ha mostrato interesse. Mi ricordo anche un produttore, che oggi è il pezzo grosso di una rete televisiva, che ha posto fine al nostro incontro affermando che “in nessun caso gli omosessuali dovrebbero crescere dei bambini!”
Allora ho pensato di scrivere una fiction, e la ricerca è stata lenta e laboriosa, nulla funzionava. E un giorno, sono tornato per caso su quelle testimonianze di uomini gay che hanno avuto bambini grazie alle madri surrogate, e mi si è accesa la lampadina.
Era proprio questo che bisognava raccontare, quella che avevo respinto all’inizio, perché era questa storia che inglobava al meglio tutte le questioni degli omosessuali che vogliono fare i genitori. Ho scritto un soggetto di 20 pagine e Christophe Rossignon ha subito mostrato interesse.
Il suo film si rivolge al grande pubblico, eppure la concezione del bebè è molto particolare…
Quello che mi piace di questo tema in generale e di questo film in particolare è quel mix di marginalità, l’omosessualità e di conformismo, la famiglia. Trovo che si tratti di un cocktail molto contemporaneo, che rispecchia la nostra epoca, in cui tutti i valori famigliari sono scompigliati, ma in cui al tempo stesso le persone adorano ancora fare bambini, mantenendo un senso profondo della famiglia, anche se non è più la famiglia tradizionale di una volta.
Trovo sia bello, toccante, vivo.
E credo anche che in qualsiasi epoca le famiglie si siano riconciliate intorno alle culle. Quando arriva il bambino, si annullano tutti i giudizi sul modo in cui può essere stato concepito, perché il bebè da solo incarna un valore essenziale e universale che ci trascende tutti, qualsiasi siano i nostri pregiudizi: la perpetuazione della nostra stirpe. È per questo, credo, che il tema degli omosessuali genitori viene accettata più facilmente oggi nella nostra società rispetto al tema dell’omosessualità qualche anno fa. Tornando al film, io e Christophe, il produttore, condividiamo dall’inizio il desiderio che questo film raggiunga il grande pubblico. Ma con un tema del genere, il minimo che si potesse dire era che non era affatto scontato che lo facesse, e sapevano che ci saremmo scontrati con un  pubblico restio a priori riguardo la questione… Ed è il personaggio di Fina che mi ha permesso di trovare l’equilibrio secondo cui, a mio parere, tutti possono immedesimarsi in questo film, gay, etero, uomini, donne, con o senza bambini… Semplicemente perché il personaggio interpretato da Lambert Wilson vive due storie molto intense a livello affettivo: una con Pascal Elbé e l’altra con Pilar Lòpez de Ayala… Quindi è un po’ un film “della media”, al quale ognuno può aggrapparsi, chiunque sia, qualunque siano le sue preferenze, e le cui scene possono avere una lettura molto diversa a seconda di chi le guarda, l’ho constatato alle anteprime. 
A proposito, come è stato accolto il film?

Io e Lambert Wilson abbiamo iniziato le anteprime in provincia; aldilà del soggetto, si tratta di un film divertente, che fa innanzitutto ridere e piangere il pubblico. Quando si riaccendono le luci, gli applausi sono tutti per Lambert Wilson. Le persone hanno l’impressione di scoprirlo in un registro  in cui non si sarebbero mai aspettati di trovarlo, e tutti apprezzano in modo unanime la sua interpretazione. Ma ciò che è veramente simpatico, è che sia Lambert che gli spettatori si allontanano presto dall’aspetto puramente promozionale del film per parlare del suo tema. E per molti era la prima volta che si confrontavano con delle domande sugli omosessuali genitori e credo che per loro sia uno shock!
Una delle testimonianze che più mi ha colpito è stata quella di un uomo sulla cinquantina, a Marsiglia, che ha preso il microfono, tremando per l’emozione, per dirci che per lui, 30 anni prima, gli omosessuali erano dei pervertiti, ma che aveva imparato nel tempo ad addolcire il suo sguardo. E ora il film gli assestava un altro bel colpo, ma  dalla sua sincerità risultava ovvio che si trattasse di un uomo in evoluzione. Ottenevamo reazioni di questo tipo ogni sera: le persone erano restie ad accettare l’idea, eppure erano commosse e sconvolte nelle loro certezze, grazie al film. A queste persone rispondo che le loro reazioni sono normali e che il loro percorso rispecchia quello della società, che si è molto evoluta negli ultimi anni riguardo la questione, e continuerà a farlo. Io stesso mi risento dire a un amico gay durante una cena, qualche anno fa (come il produttore televisivo di cui prima): “i gay non devono avere figli, i bambini ne sarebbero traumatizzati.” Abbiamo tutti avuto dei pensieri arcaici di riflesso, che obbediscono a dei pregiudizi che hanno radici profonde, è umano. Sta a noi scalzarle, lavorarci su, e l’avanzare della società ci costringe in ogni caso a farlo.
L’unica scena di sesso del film è tra un uomo e una donna. Non è contraddittorio rispetto al tema del film?
Affinché una scena d’amore meriti di stare in un film, deve raccontare qualcosa. In questo caso, era più interessante mostrare Manu che si trova spinto contro le sue barriere di difesa, e vederlo inciampare, perdere la presa, trasgredire… quindi era la scena d’amore con la donna a essere più interessante. Dall’inizio del film, volevo evitare gli stereotipi sugli omosessuali che si vedono oggi al cinema. È stata volontaria la scelta di girare la scena del loro incontro in un bar qualunque invece che in un bar gay. È stato volontario dar loro una vita ordinaria, con amici eterosessuali (Anne Brochet), una famiglia, un lavoro normale, e sicuramente anche una dose di noia.
Insomma, volevo che fossero come gli altri… E credo che una scena d’amore tra i due uomini sarebbe stata un ulteriore cliché: l’omosessualità sempiternamente mostrata attraverso la sua sessualità. Invece, quando Lambert Wilson e Pascal Elbé si ritrovano in una scena d’amore che non è esplicitamente sessuale, il film ottiene qualcosa di insolito… gli attori sono così sinceri, toccanti e pudici che la scena viene completamente accettata dal pubblico, non lo scuote, perché è dolce, tenera. L’amore che trasmettono… non c’è un grammo di provocazione. E ci si affeziona talmente tanto a questi attori che non ci si sente a disagio di fronte alla loro omosessualità, è assolutamente naturale, normale. Non si vede altro che l’amore di due ex che si ritrovano, e si è commossi e felici di vedere che si ritrovano…
Perché ha deciso che Manu fosse pediatra?
Ho due figli, ed è capitato che il medico di famiglia che li curava era omosessuale, tutto qui… Ho voluto che il personaggio fosse un pediatra per incarnare in modo semplice e concreto il fatto che Manu voglia dei figli, per mostrare che non è una chimera, ma un desiderio molto concreto per lui… E in questo modo abbiamo potuto girare delle bellissime scene con una moltitudine di bebè (oltre 100 dossier depositati presso l’ente che si occupa delle adozioni). Ma malgrado questa precauzione, alcuni, leggendo la sceneggiatura hanno trovato che  il desiderio di un figlio di Manu fosse “superficiale”, come se volesse un giocattolino! Affogavamo nei pregiudizi: dato che è un uomo, tra l’altro gay, il suo desiderio di avere un figlio doveva essere per forza superficiale. Ho replicato che se Manu fosse stato una donna, nessuno avrebbe mai detto questo! D’altronde, nel sottotesto, ho costruito la coppia Manu / Philippe nella sorta di generalità della coppia etero: Manu desidera un figlio “come una donna” e Philippe “come un uomo”… Manu vuole visceralmente diventare padre. Philippe diventa padre quando arriva il bebè, adottandolo. Spero che questo tipo di scelte potranno far sì che tutti restino toccati da ciò che questo film trasmette nel profondo.
E questo modo di desiderare un figlio “come una donna” è davvero affascinante in un uomo! Quando alla fine del film Manu e Philippe accolgono il loro bambino, trovo che si tratti di un momento molto poetico, anche sconvolgente, perché Manu è arrivato alla fine della sua missione impossibile grazie solo alla sua volontà, e anche perché a quel punto, lo spettatore l’accetta completamente in quanto padre del bambino, anche se in realtà non ne è il genitore, l’ha solo desiderato. È questo desiderio che mi aveva commosso nel mio amico del liceo. Solo che purtroppo, quando si è un uomo gay, non è facile diventare padre, è un vero inferno. D’altronde, anche se ci ho messo dieci anni a girare questo film, ci sono riuscito, mentre il vero Manu ancora non è diventato papà. È venuto spesso sul set e credo che gli abbia fatto bene, è stato come una consolazione per lui essere l’ispirazione per il film.
Buona parte del film si svolge a Belleville. Perché?
È il mio quartiere, e adoro il suo lato etnicamente e socialmente meticcio, aperto alla diversità… ha mantenuto il suo lato  da paesino, umano, che Parigi perde completamente. Era perfetto per il personaggio di Manu, legava perfettamente con le sue ambizioni e la sua umanità. Quando Philippe lo lascia, va a vivere in un posto completamente diverso, la Défense. Ho voluto esacerbare il più possibile questo aspetto per esprimere il limite “autistico” naturale di Philippe quando si ritrova solo con se stesso… l’opposto di Manu, insomma. 
Uno dei personaggi a cui più ci si affeziona nel film è Cathy, la cara amica single, interpretata da Anne Brochet.

È il personaggio comico del film. È un  personaggio molto presente nel cinema francese: la donna single che si avvicina ai 40, ancora senza un uomo all’orizzonte. Ma in questo film non diciamo nulla di lei, non le accade niente, neanche la minima avventura. È crudele, ma più si è crudeli con un personaggio e più simpatia provano per lui gli spettatori. Di conseguenza, Anne Brochet lascia un grande segno sul film, e sono felicissimo per lei… Fina, la madre surrogata, è interpretata da Pilar Lòpez de Ayala, una star in Spagna, che ha già vinto un premio Goya, ma meno nota in Francia.
È incredibilmente degna di nota, è la vera scoperta di questo film. Devo dire che dal punto di vista degli attori – non abbiamo parlato di Pascal Elbé, ma è formidabile per la sua verità e sobrietà – mi sono sentito davvero viziato su questo set, anche per quanto riguardava i piccoli ruoli.
Qual è stato il suo percorso?
La scuola di cinema, indirizzo regia, poi  scrivevo sceneggiature e mi guadagnavo da vivere girando documentari, cosa che ha molto segnato il mio modo di relazionarmi con gli attori. In effetti, quando giro dei documentari, filmo le persone come fossero attori, e quando giro opere di finzione, filmo gli attori come se fossero persone, non faccio differenza. Di conseguenza non dirigo molto gli attori, mi fido di loro, li rispetto e li ascolto, gioco sulla connivenza, l’implicito, dico loro il meno possibile, do loro solo degli accenni, lascio che mi sorprendano, che inventino, così, senza fare nulla, quasi senza che se ne accorgano,  saccheggio la loro creatività e mi danno molto…

Trailer francese:


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Commenti»

1. Riccardo - 12/12/2008

Che titolo insignificante in italiano…

2. barbara - 30/12/2008

Il film è godibile. Peccato per il doppiaggio italiano: pessima scelta delle voci, brutti dialoghi, sinc approssimativo…in una parola IMBARAZZANTE!

3. Giovanna - 22/01/2009

Bellissimo film, sembra un po’ un utopia in un paese come l’Italia, ma speriamo che lo vedano in molti e ci riflettano sù. Non mi è sembrato male il doppiaggio, belle voci, particolari e ben aderenti ai volti.


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